«Giuseppe venduto dai fratelli» di Giovanni Carlone

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«Giuseppe venduto dai fratelli» di Giovanni Carlone

Otto secoli di storia di Genova raccontati dal suo denaro

Gli estremi temporali della mostra a Palazzo della Meridiana sono quelli di attività della zecca: 1138-1860

La mostra «Il Re Denaro. Le monete raccontano Genova fra arte, lusso e parsimonia», nel Palazzo della Meridiana fino al 12 dicembre, nasce da un’idea di Guido Rossi, conservatore delle raccolte numismatiche dei Musei Civici di Genova, affiancato nella curatela da Anna Orlando. È un esempio di coproduzione pubblico-privato: tra Associazione Amici di Palazzo della Meridiana e Comune di Genova, che ne ospita una parte anche nei vicini Musei di Strada Nuova.

La storia della Repubblica è raccontata da un testimone o meglio da un protagonista d’eccezione: il denaro, che come scriveva un poeta spagnolo del Siglo de Oro: «nasce onorato nelle Indie da dove la gente lo accompagna, viene a morir in Spagna ed è seppellito a Genova». Gli estremi cronologici di questa affascinante narrazione, che si dipana fra una settantina tra monete e medaglie insieme a decine di dipinti, disegni, sculture, oggetti e documenti, prestati dai musei civici e non solo, sono quelli dell’attività della zecca di Genova, che batte moneta dal 1138 al 1860.

Otto secoli di storia della città, narrata in sei sezioni e scandita dalle monete e dai loro simboli: dalla nascita del Comune all’epoca delle Crociate, dai fasti della Repubblica marinara al grande Andrea Doria, dai genovesi banchieri d’Europa al declino settecentesco, dai moti mazziniani all’avvento del Regno d’Italia.

Non si tratta però di una mostra numismatica, bensì di un’esposizione ricca e multidisciplinare pensata per far dialogare con il contesto di allora le monete: dal denaro grosso e dal genovino con le immagini della croce e della città turrita al marengo con l’effigie di Vittorio Emanuele II, passando dai ducati alle doppie seicentesche con la Madonna Regina di Genova, proclamata tale nel 1637.

La mostra presenta inoltre al grande pubblico la storia della città, delle sue istituzioni, dei suoi protagonisti veri e leggendari, le ragioni dei suoi simboli e la fortuna delle sue iconografie. L’allestimento è molto suggestivo, in certi casi quasi immersivo, come nella sezione medievale con i muri dipinti a fasce bianche e grigie a richiamare le tipiche partiture murali dell’architettura medievale ligure.

Per ogni sezione della mostra Guido Rossi ha studiato una singolare postazione interattiva, su brevetto di Elio Micco, che contiene un’app per navigare tra storie, approfondimenti e le monete originali protagoniste della sezione che ruotano all’avvicinarsi del visitatore. Il catalogo edito da Sagep contiene saggi e schede di Monica Baldassarri e Daniele Ricci insieme a Guido Rossi per la parte delle monete, oltre ai contributi dei direttori e conservatori di istituzioni culturali genovesi non solo civiche.

Quanto pagavano l’arte i genovesi dal Cinquecento all’Ottocento
Nei vicini Musei di Strada Nuova, in Palazzo Bianco e Palazzo Tursi, Raffella Besta e Margherita Priarone hanno studiato un percorso indicato da pannelli didattici che richiamano la grafica della mostra alla Meridiana, segnalando alcune opere della collezione permanente per la loro attinenza ai temi trattati.

Emerge un punto di vista particolare rispetto al collezionismo e all’acquisto di opere d’arte: «Ci è parso interessante un focus sugli orientamenti della committenza e degli acquisti dell’aristocrazia genovese nei secoli di splendore della città, afferma Margherita Priarone. Dalla Genova di inizio Cinquecento alle trasformazioni della città tra fine Settecento, con il tramonto dell’ancien régime, e il primo Ottocento, l’itinerario individua otto sezioni per altrettanti momenti in cui le vicende di commissione, acquisto, passaggio di proprietà delle opere esposte rendono manifesto il rapporto tra arte e celebrazione, lusso e ricchezza, bellezza e denaro».

È possibile in alcuni casi conoscere il prezzo pagato e le esatte provenienze per opere, come i grandi polittici fiamminghi di Gerard David e Jan Provoost, le tele venete di Veronese e Paris Bordon, i ritratti celebrativi di Van Dyck, i dipinti spagnoli di Zurbarán, Ribera e Murillo e la «Maddalena» scolpita dal Canova, acquistati a Parigi dai duchi di Galliera.

«Particolare attenzione meritano le sontuose sculture reggivaso in legno dorato di Nicolò Traverso, segnala Priarone, commissionate da uno degli ultimi dogi della Repubblica, Michelangelo Cambiaso, presentate per la prima volta dopo il restauro accanto al suo monumentale ritratto ufficiale». Alla fine del percorso a Palazzo Tursi è visibile la collezione numismatica del Comune di Genova, la più importante insieme a quella di Banca Carige, sponsor istituzionale per questa mostra.

Al querulo mendicante una monetina d’oro del genovese caritatevole
Nella mostra «Re Denaro. Le monete raccontano Genova fra arte, lusso e parsimonia», fino al 12 dicembre a Palazzo della Meridiana, è esposta una coppia di figure del presepe di una collezione privata di particolare rarità. Il mendicante si ritrova in quasi tutti i presepi storici genovesi: da quello dipinto da Sinibaldo Scorza per un presepe a sagome a quello intagliato da Giovanni Battista Garaventa per il presepe di casa Savoia nella seconda decade dell’Ottocento, tarda testimonianza di una iconografia secolare.

Comune a tutte queste figure, a manichino o, più di rado, interamente scolpite in legno, è l’accentuazione patetica: la testa avvolta da un’infula bianca, lo sguardo sofferente, la bocca semiaperta alla querimonia, l’incarnato livido dal freddo; spesso sciancato o mutilo di una gamba il mendicante si appoggia a una stampella. Tale presenza nella coreografia presepiale costituisce verosimilmente un riflesso del fenomeno del pauperismo assai avvertito in città, l’eco del quale è possibile ritrovare anche in tante testimonianze figurative coeve, dalle tele di Cornelis de Wael alle incisioni dell’abate Giolfi.

Figure analoghe, peraltro più teatrali, si trovano nel presepe napoletano settecentesco, quali esercitazioni colte di artisti eccellenti, occasioni per la modellazione di straordinari pezzi di bravura accademica, piuttosto che espressione di denuncia sociale. La novità proposta da Pasquale Navone per il presepe genovese è quella di accostare al questuante la figura di un offerente che, con un gesto caritatevole, porge al povero una luccicante moneta d’oro.

Una scena estremamente rara, forse destinata a una committenza particolare, come confermerebbero anche la straordinaria qualità dell’intaglio e della policromia dei due esemplari. A fronte della ricchissima produzione presepiale dello scultore, infatti, si conoscono solo altre due rappresentazioni di offerenti in altrettante collezioni private genovesi, costituite da esemplari di altissima caratura qualitativa.

Personaggi diversi, accomunati dal gesto: tutti tengono tra pollice e indice una piccola moneta d’oro. Forse riflesso, nel microcosmo presepiale, di quella tradizione di assistenza e di filantropia che rappresentava un’importante connotazione della società genovese di antico regime. Una società che nel 1419 aveva istituito l’Ufficium Misericordiae, nel 1539 l’Ufficio dei Poveri e che infine, nel 1656, aveva avviato la costruzione dell’imponente Albergo dei Poveri, celebrato dalla letteratura periegetica come «reggia della misericordia». [Giulio Sommariva]
 

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Agnese Marengo, 12 agosto 2021 | © Riproduzione riservata

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