Antonio Forcellino
Leggi i suoi articoliPer il rapporto strettissimo che impone con la materia dell’opera, il restauro di un manufatto artistico è il momento privilegiato della sua conoscenza. Spesso il solo avvicinamento all’opera, nei manufatti monumentali reso possibile dai ponteggi che annullano le distanze dalle quali normalmente si osservano le opere, permette letture altrimenti impossibili.
Nella mia personale storia professionale la possibilità di osservare da vicino il retro delle sculture di Michelangelo della tomba di Giulio II ha avviato, stimolato e coadiuvato un’indagine critica e filologica altrimenti impensabile.
Ancora più rilevante è il vantaggio che in corso di restauro si ottiene nella conoscenza dell’opera attraverso i moderni mezzi diagnostici: la riflettografia di un dipinto permette di vedere ciò che a occhio nudo è impossibile vedere ma, anche più semplicemente, pulire un dipinto osservandolo a pochi centimetri permette di comprendere la procedura esecutiva di un artista, che non è poca cosa per la comprensione di quello che più generalmente si considera il suo stile.
Il problema di fronte al quale si trova però il restauratore è quello della comunicazione dei dati reperiti nel corso del restauro. E non ci si illuda che i protocolli comunemente accettati in ambito disciplinare in tema di documentazione siano minimamente sufficienti.
Le cosiddette tavole tematiche che corredano le relazioni di fine restauro permettono di comunicare solo in termini molto astratti alcuni «tematismi», tanto per citare il lessico specialistico. Nel caso di un affresco nelle tavole tematiche vengono registrati l’andamento delle giornate, la presenza delle incisioni indirette e dirette, la costruzione di eventuali schemi geometrici, i distacchi, le lacune ecc. Tutte informazioni importanti ma poco significative, in quella forma, al fine della vera e approfondita conoscenza dell’opera, per la quale il restauratore riceve dall’esperienza diretta ben altre informazioni.
Ho discusso a lungo di questo tema con la mia amica Elisabetta Pallottino, coltissima storica del restauro architettonico che bonariamente mi accusava di pretendere dagli studiosi una «prova di fede» di fronte alle informazioni che io reperivo sui ponteggi, ma che in definitiva rimanevano incomprensibili quando le comunicavo in forma sia scritta che orale.
Né si può pensare che il ponteggio diventi un luogo dove far transitare gli studiosi benché, se il nostro Mibact si convincesse davvero che il restauro non è materia per «ditte appaltatrici» (come ci definisce negli atti amministrativi) bensì per operatori culturali, effettivamente il ponteggio potrebbe ben supportare le aule universitarie, con grande frutto per i nuovi storici dell’arte e conservatori.
Basterebbe introdurre nelle maledette perizie, che oggi tagliano i costi e vengono proposte per inauditi ribassi, un «onere non ribassabile» destinato all’acquisizione culturale, alle ricerche del restauratore che, lo si voglia credere o no, è e rimane «un critico militante», come lo definiva Cesare Brandi.
Ma, pungolato dalle critiche di Elisabetta Pallottino e grazie all’evolversi della tecnologia (leggi invenzione dei cellulari), mi sono accorto personalmente che proprio le riprese video fatte col cellulare o le facili foto, scattate sempre con lo stesso apparecchio, possono dare un grandissimo contributo alla comprensione di quelle interessantissime «rivelazioni del ponteggio» (anche nuovo genere letterario).
Nel caso sempre della tomba di Giulio II o della Madonna Medici, mi è stato di grandissimo aiuto girare video e scattare foto per riprendere l’andamento dei segni di lavorazione, così come nel restauro degli affreschi è proprio la ripresa video che permette di caratterizzare in termini stilistici le incisioni preparatorie e le pennellate corpose o liquide dell’artista.
Ho anche verificato che la comunicazione attraverso questi strumenti risultava molto più agevole anche durante le lezioni tutte teoriche fatte all’Università. Per non parlare dell’enorme potenzialità culturale di questi strumenti. Un video ben girato sul ponteggio permette a un numero illimitato di persone di condividere almeno in parte l’esperienza del restauratore.
Questa condivisione è già di per sé un allargamento delle conoscenze che dovrebbe sempre ritenersi una finalità del restauro, che non è solo un intervento sulla materia, ma è interpretazione della materia e dunque del manufatto.
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