Daniela Ventrelli
Leggi i suoi articoliQuando tra il 2008 e il 2010 ho frequentato piuttosto assiduamente il Museo Archeologico Nazionale di Taranto per studiare le iscrizioni in greco incise, graffite o dipinte, sul retro di matrici di terrecotte figurate e oggetti fittili tarantini non avrei mai pensato, per quanto era austero e lontano dal grande pubblico il museo in quel tempo, che un giorno sarebbe nato il Festival di San MArTA. Le frontiere della valorizzazione sono ormai esplose.
E così, nel museo principe della Magna Grecia per tutta la durata del festival di Sanremo c’è stata una gara tra «Vola colomba» di Nilla Pizzi, abbinata a un balsamario in vetro a forma di colombina della prima metà del I secolo d.C.; «Ventiquattromila baci» di Adriano Celentano, rappresentata da un gruppo fittile di inizio III secolo a.C. che raffigura una coppia distesa su kline, lasciva e felice tra baci, abbracci e musica (la figura maschile regge una cetra nella mano sinistra); il successo targato anni ’60 di Nada «Ma che freddo fa», evocato dal volto di una donna misteriosa completamente avvolta in un himation da cui fuoriescono solo gli occhi e il naso, sovraddipinta in ocra e amaranto sul lucido fondo nero di una lekythos datata al 350-325 a.C.; l’immancabile «Felicità» di Al Bano e Romina Power materializzatasi nella figurina fittile di un attore comico ed ebbro, ritrovata a Taranto e attribuita alla fine IV-inizi III secolo a.C.
Ardito, ma calzante l’accostamento tra il gioco dell’ephedrismos descritto da Polluce nelle sue due fasi (Onomasticon 9, 119), rappresentato da un gruppo fittile con un sileno che porta sulle spalle una piccola menade, e la canzone di Daniele Silvestri «Salirò», per finire con il volto dolce di una giovane donna seduta, dettaglio di un fregio di monumento funerario in pietra tenera del IV secolo a. C., dallo sguardo triste perché morta in verità, ma qui pensata nella «cumbia della noia» di una Angelina Mango che, a occhio, poteva essere esattamente sua coetanea.
«Questa iniziativa è nata con l’obiettivo, spiega la direttrice del MArTA Stella Falzone, di far conoscere la nostra collezione a un pubblico sempre più vasto, anche attraverso l’associazione con le canzoni più celebri della storia del Festival di Sanremo. Abbinare un reperto a una canzone, anche in modo ironico, ci ricorda ciò che era popolare nel IV secolo a.C. così come negli anni ’50 del secolo scorso, o al giorno d’oggi, abbattendo così le barriere temporali tra presente e passato».
La competizione è consistita nel votare sulle pagine social l’«archeocanzone» preferita in una gara che pare abbia riscosso un notevole successo conclusasi con la vittoria della lekythos sovraddipinta abbinata alla canzone «Ma che freddo fa». Qualcuno sui social parla di idea «balzana», può essere, ma è importante che tutti abbiano la possibilità di avvicinarsi in modo immediato e semplice alla memoria di un passato che poi così lontano, o diverso da noi, non è affatto.
Dunque, viva Sanremo, viva San MArTA, viva il gioco, quel ludus che gli antichi prendevano, e a ben ragione, in gran conto perché era (ed è) un affare molto più serio di quanto non sembrasse (e sembri).
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Il post su Instagram con l'annuncio del vincitore del Festival di SANMArTA
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