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Penelope, Ulisse e il cane Argo, teca di specchio etrusco, da Tarquinia, III secolo a.C., Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Collezione Castellani

© Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. Archivio fotografico. Mauro Benedetti

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Penelope, Ulisse e il cane Argo, teca di specchio etrusco, da Tarquinia, III secolo a.C., Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Collezione Castellani

© Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. Archivio fotografico. Mauro Benedetti

A Taranto i libri di Maria Lai si intrecciano con la storia di Penelope

L’intero schema espositivo della mostra al MArTA ruota attorno a temi quali il telaio e la tessitura per restituire un’immagine differente della donna

Delle quattro sezioni in cui è stata suddivisa la mostra su Penelope (il telaio e la tela, il gesto e la postura, il mondo del sogno, il velo e il pudore) curata da Alessandra Sarchi e Claudio Franzoni e inaugurata al Museo Archeologico Nazionale di Taranto l’8 marzo (dopo tre mesi al Parco archeologico del Colosseo, 19 settembre 2024-15 gennaio 2025), la prima ne è senza dubbio regina.

È, infatti, intorno al telaio e alla tessitura, variamente interpretati, che si sviluppa l’intero schema espositivo. Trama e ordito prendono vita nell’intreccio di legno e stoffa della scenografia prescelta. Centinaia di strisce bianche e rosse di tessuto inquadrano vetrine, suddividono parole e versi, ricompongono immagini e suggestioni visive, orientano il visitatore in un percorso «fisico» dove il rimando fra tessitura e letteratura è costante. Il primo apparato illustrativo evoca, infatti, l’importante abilità richiesta dal lavoro al telaio: memorizzare sequenze numeriche per intrecciare fili e alternare colori. «La tessitura, come il canto epico dei poeti, si basa su una metrica precisa», si legge, e non a caso si parlerà dei primi cantori come di rapsodi, «i cucitori di canti», un’analogia che nella mostra viene messa in relazione alla pratica antichissima di tessere cantando. Ed è forse anche per questo che, in un accostamento di non immediata comprensione, si trova il primo dei libri cuciti di Maria Lai, artista sarda scomparsa dieci anni fa, insieme alla ricostruzione del telaio con cui Penelope si trova raffigurata nello skyphos attico a figure rosse arrivato a Taranto dal Museo di Chiusi. 

Il riconoscimento di Ulisse da parte di Euriclea, rilievo di coronamento, I secolo d.C., terracotta, Roma, Museo Nazionale Romano Foto: MiC-Museo Nazionale Romano, Archivio Fotografico

La suggestione del telaio dipinto, riprodotto da Andreas Willmy, Ellen Harlizius-Klück e Susanne Pfisterer-Haas, e conservato al Museum für Abgüsse Klassischer Bildwerke di Monaco di Baviera, richiama fortemente l’attenzione sui numerosi pesi da telaio iscritti conservati al Museo di Taranto. Una città nota per la sua produzione coroplastica, per i suoi atelier dove lavoravano non poche donne, come suggerisce quell’antroponimo «Niko» impresso su uno dei pesi esposti, ma soprattutto su alcune matrici fittili iscritte tarantine che studi scientifici hanno dimostrato trattarsi di una firma femminile. L’atto della tessitura, che nel mondo antico è tra i principali lavori a cui si dedicano le donne, si carica quindi di numerose valenze a partire dalla costruzione dell’immagine di Penelope come abile e astuta, capace di una lunga guerra silenziosa e senza spargimento di sangue. Una guerra che alla fine vince, domando 108 pretendenti attraverso l’intelligenza e la saggezza, chiusa in una stanza con un telaio come alleato e le sue virtù, lodate anche da Omero, per fidate ancelle. E non a caso, come sottolineano i curatori della mostra, Penelope è l’unica eroina del ciclo troiano che non vivrà il destino di morte e distruzione toccato in sorte alle cugine Clitemnestra ed Elena.

Penelope restituisce un’immagine differente della donna che, specialmente nella cultura greca, non godeva affatto degli stessi diritti né della libertà dell’uomo. L’esposizione prosegue riflettendo la fortuna ricevuta dal mito della regina di Itaca nei secoli, evidenziandone alcuni tratti salienti come la già citata astuzia, il pudore rappresentato dalla sua immagine velata anche attraverso il riflesso e la fortuna di immagini femminili velate sia nella coroplastica che nella ceramica apula a figure rosse; poi il riconoscimento dello sposo-mendicante, infine il ricongiungimento agognato e l’intervento risolutore della dea Atena che le viene in sogno per fugare ogni dubbio e incertezza. Passaggi rivisitati attraverso stampe antiche con calcografie, incisioni a bulino, acqueforti come quelle bellissime del Tischbein. Fra i reperti più singolari, le due lastre di coronamento provenienti dal Museo Nazionale Romano. In una di queste, l’immagine di Ulisse che chiude con mano decisa la bocca della nutrice Euriclea sul punto di dichiarare l’identità del suo re, complice la giusta illuminazione sul bassorilievo, è così forte che l’eroe sembra quasi uscire dalla terracotta per prendere vita dinanzi agli occhi del visitatore.

Diventa chiaro, infine, l’accostamento con l’arte tessile di Maria Lai, le cui opere si intrecciano con la storia della regina di Itaca e del suo mito nel tempo. La sua riflessione sulla tessitura e la scrittura, insieme al suo motto «essere è tessere», hanno fatto di lei una Penelope moderna, quasi un nume tutelare che accompagna l’eroina epica costituendone il riflesso più attuale. Così la sua arte, i libri cuciti e il telaio colorato, sono strategicamente collocati al principio e alla fine del format espositivo, quasi rendendo la «donna» mitica più umana, più vicina alla donna di oggi. «Penelope» è al Museo Nazionale di Taranto fino al 6 luglio.

Menade di terracotta immersa nel sonno, II secolo a.C., Taranto, MArTA

Daniela Ventrelli, 19 aprile 2025 | © Riproduzione riservata

A Taranto i libri di Maria Lai si intrecciano con la storia di Penelope | Daniela Ventrelli

A Taranto i libri di Maria Lai si intrecciano con la storia di Penelope | Daniela Ventrelli