Procopio Procopius
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«Gentile dottor Procopio,
in realtà, se me lo chiedessero, non saprei dire se e quanto mi piaccia davvero l’arte. Ma sono quasi certo di avere con l’arte un rapporto più sincero rispetto alla maggior parte delle centinaia di persone che mi passano sotto gli occhi quasi ogni giorno. Le vedo strascicare svogliati i loro piedi sciabattanti e stanchi davanti a decine e decine di quadri, sculture, oggetti più o meno preziosi. Le vedo scrutare i messaggi sullo smartphone oppure fotografare con lo stesso aggeggio tutto ciò davanti a cui passano e magari non si accorgono neppure che stanno fotografando la riproduzione che sostituisce un’opera temporaneamente in prestito. Vedo scolaresche maleodoranti, rassegnate comitive di pensionati, famiglie litigiose. Riconosco il rumore delle sneaker che sgommano quando il passo accelera nelle sale delle porcellane, delle maioliche, della glittica e della numismatica. Che cosa ci vengono a fare qui? Le sgamo, non si illudano, anche quando mi lanciano occhiate di disprezzo e di risentimento, magari mentre fanno dietrofront, offesi, davanti alla porta chiusa di due sale contenenti una raccolta di tiare, pianete, turiboli, navicelle e pastorali, un genere rispetto al quale quel cartello “Chiuso per temporanea assenza del personale” ha improvvisamente frustrato una loro insospettata passione. Vorrebbero sedersi e spesso non possono, mentre io sto lì, comodo sulla mia sedia, a guardarle. Questo esaspera il loro odio. Chi sono? Sono un membro di una categoria professionale tra le più disprezzate d’Italia, un paria, un intoccabile. Sono il custode di un museo. E no, dalla mia non ho neanche la scusa di una laurea in storia dell’arte che in questo Paese non m’ha dato lavoro, se non questo. Ho 56 anni e ho solo la licenza media. La differenza tra me e l’80% delle succitate persone è che loro dell’arte potrebbero fare a meno e si vede da come si comportano quando sono qui. A me, invece, l’arte è indispensabile. Ma non dovrebbero darsi troppe arie. Perché da un certo punto di vista, qualcosa ci rende simili, me e i forzati del tempo libero scambiato per cultura: a guardarli, si direbbe che, proprio come me, siano qui per dovere».
suo Vincenzo
Senza visitatori e custodi anche gli dèi perderebbero il posto
«Caro Vincenzo,
comprendo il suo sfogo, ma lei sa bene che il suo posto di lavoro è legato alle distratte schiere che affollano i luoghi dell’arte. Certo, un museo è fatto di sguardi. Quelli più severi, perplessi, terrorizzati o irridenti mi pare provengano dagli dèi, dagli eroi o dai più comuni personaggi che dalle pareti osservano tutti noi, visitatori e custodi. Ma anche il crudele scorticatore Apollo, Venere corteggiata da Marte e perfino il santo che ostenta lamentoso il suo martirio, se ci pensassero un attimo, si renderebbero conto che siamo tutti sulla stessa barca. Senza visitatori e custodi non ci sarebbero musei e persino loro rischierebbero di perdere il posto».
Procopio
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