Procopio Procopius
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«Caro Procopio,
diciotto anni fa incontrai una ragazza. Mi disse che faceva l’artista e del resto l’avevo conosciuta a una vernice in galleria. Anch’io facevo l’artista. Ero (sono) un pittore di un certo talento e come molti pittori della mia generazione all’inizio ho scimmiottato e mixato un po’ di Francis Bacon, l’ho shakerato in chiave informale mantenendo però frammenti alla Lucian Freud. Sara invece era partita subito in quarta con opere installative. Erano un po’ durette all’inizio, quindi prese una via meno aggressiva, con opere in tessuto, sculture morbide ispirate al mondo della natura e colorate. ’Sto fatto che io ero un pittore vecchia maniera e lei una giovane artista contemporanea non ci impedì di innamorarci e di metterci insieme. Sono nato negli anni ’70. Quando uscii dall’Accademia c’erano ancora gallerie che esponevano pittura e scultura tradizionali, un po’ sullo stile di Antonio López García, ma anche cose “esistenziali”, tipo nature morte, interni dismessi di edifici industriali, paesaggi tormentati, animali, lavandini rotti, figure un po’ angosciate. Cominciai quindi a esporre le mie cose senza fare troppa anticamera. All’inizio, mentre la ragazza che intanto era diventata mia moglie era ancora alla ricerca di uno stile e soprattutto di una galleria, le cose andarono alla grande. Poi sempre meno.
Allora un mio vecchio professore parlò delle “oscillazioni del gusto”, un’elegante espressione che aveva rubacchiato a Gillo Dorfles; le aveva citate tante volte all’Accademia, ’ste oscillazioni, ma io mi sono reso conto di che cos’erano soltanto quando il gusto ha cominciato a oscillare da un’altra parte rispetto alla mia e quelli che compravano i miei quadri cominciarono a spendere i loro soldi nell’arte contemporanea. A mano a mano che le cose per me andavano di male in peggio, per lei andavano bene. Una sera ne parlammo e lei mi disse che dovevo mettere nella mia pittura qualcosa di diverso, cioè… Non cambiare stile, ma con uno stile tradizionale dipingere soggetti “strani”. Ammetto di non averci neanche provato, per pigrizia, orgoglio o sfiducia. E poi non è che avessi proprio capito che cosa avrei dovuto fare. Sara invece andava sempre meglio. Ma mi stupì, una domenica pomeriggio, quando nello studio che condividevamo mi disse che avremmo dovuto fare un figlio. Credevo pensasse solo alla sua carriera e invece… Quella donna ha un tempismo diabolico. Detto e fatto, diventammo nel giro di un anno due artisti primipari. Una volta scodellata la piccola Zoe, tuttavia, cominciò quasi subito a lavorare ai suoi “progetti” (non le chiama opere, ma progetti, oppure «lavori»). Il suo tempismo quasi feroce venne confermato quando pochi mesi dopo il parto ricevette la telefonata della curatrice della Biennale di Venezia che la invitava alla prossima edizione. La sua galleria, nei mesi precedenti alla Biennale, diede fondo a tutte le opere di Sara rimaste in magazzino, perché tutti sapevano che la ragazza stava per spiccare definitivamente il volo. Intanto lei sparì in studio, a prepararne di nuove, alcune sul tema della maternità. Vinse anche una residenza a Malmö e un’altra a Milwaukee. Io, a casa, feci il “mammo” godendomi Zoe sino a che non la mandammo al nido. Quando Sara tornò dall’ultima residenza mi chiese di poter occupare anche la mia parte dello studio (già piccina a dire il vero), perché aveva bisogno di più spazio e poi doveva ricevere curatori, collezionisti, la sua gallerista e i suoi tirapiedi. Notai con dolore che dopo qualche giorno aveva staccato dalla parete un mio quadretto che, diceva, le piaceva tanto.
La Biennale l’ha fatta. Ha anche cambiato galleria passando a una di Bruxelles che l’ha già portata con successo ad Artissima e a Liste, a Basilea. Io è tanto se vendo tre quadri all’anno, in genere sempre agli stessi amici o affezionati nostalgici; lei non riesce a star dietro alle richieste. Così da tre anni faccio supplenze di educazione artistica nelle scuole medie; sono ben piazzato in graduatoria e se gira bene l’anno prossimo passerò anche di ruolo. E dipingo alla mia maniera, nonostante non ci sia più uno straccio di gallerista che mi si fili. Da quando abbiamo cambiato casa grazie ai soldi dei genitori di Sara ho una stanzetta tutta per me e mi basta, perché io non faccio grandi formati. Sono felice? Diciamo che sono più tranquillo, magari anche un po’ rassegnato, e poi Sara, quando gira bene, guadagna in due mesi quello che io prendo in un anno a scuola. Speriamo che duri. Purtroppo qualche mese fa al ritorno dalle vacanze abbiamo scoperto che erano entrati i ladri in casa. Hanno portato via le solite cose: stereo, pc, scanner, tv, uno smartphone, un po’ di soldi e poco altro. Abbiamo la casa piena di opere che Sara ha avuto in cambio o comprato da certi suoi colleghi, qualcuno anche più famoso e quotato di lei, ma le opere non le hanno toccate. “Per fortuna che non capiscono un c… di arte”, ha detto Sara. Ma dopo un po’ Zoe se n’è accorta: da una parete in fondo al corridoio era sparito il mio quadretto, quello che Sara aveva tolto dal suo studio e che poi avevo ritrovato in un cassetto e avevo riappeso in casa. A Zoe piaceva perché raffigurava una gabbietta da cui era fuggito un uccellino. Era l’unica opera che avessero rubato. “Papà, hanno rubato il tuo quadro”, ha detto Zoe. È stato, lo ammetto, con un certo sadico compiacimento che ho risposto: ”Ma no, Zoe, l’avrà preso la mamma…“».
Simone, Legnano
Dipinga, se le piace (piace anche a Zoe)
«Caro Simone,
in realtà non so come rispondere a questo suo piccolo giustificato sfogo. Dipinga, se le piace. E si goda Zoe e Sara. Passi di ruolo: a disegnare con i bambini, ormai l’avrà capito, ci si diverte un mondo».
Procopio
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