Roberta Bosco
Leggi i suoi articoliSi è conclusa venerdì 15 settembre la seconda edizione degli Incontri Mediterranei, il grande congresso organizzato dal Museu Nacional d’Art de Catalunya (Mnac), dall’Universitat Autònoma de Barcelona (Uab) e dall’Università La Sapienza di Roma con l’obiettivo di promuovere lo studio dei fenomeni artistici del Mediterraneo medievale, nonché i ricchi processi di scambio che li contraddistinguono.
L’evento, che dal 13 al 15 settembre ha riunito nel Mnac di Barcellona i maggiori esperti mondiali sul tema, tra cui molti italiani, è stato trasmesso in streaming in quattro lingue (catalano, spagnolo, italiano e inglese) e le presentazioni rimarranno disponibili online sul canale YouTube del Mnac. Gli interventi saranno pubblicati nel 2024 su «Arte Medievale».
Dopo il grande successo della prima edizione, dal titolo «Arte e artisti tra Bisanzio e Occidente dopo la Quarta Crociata», tenutasi a Roma nel 2019, il Mnac, che conserva la collezione d’arte romanica probabilmente più importante del mondo, ha accolto i trenta esperti che si sono alternati nell’analisi dei legami esistenti tra le diverse aree del Mediterraneo, per approfondire la conoscenza della tradizione della pittura murale e del mosaico parietale.
Gli interventi del convegno, intitolato «Spazio dipinto e spazio ricostruito nella pittura murale medievale (secoli IV-XII)» (congresromanicbarcelona.cat), si sono concentrati sulla percezione di queste opere da parte del pubblico e sulle strategie messe in atto per aiutare gli spettatori a rivivere l’esperienza originale sia nei musei che in situ.
Quest’anno ricorre il centenario dell’ultima di una serie di campagne di stacchi che dal 1919 al 1923 furono condotte in primis dall’équipe del restauratore bergamasco Franco Steffanoni, conoscitore di quest’estrema tecnica di conservazione, campagne che permisero di formare l’attuale collezione di arte romanica del Mnac.
Il simposio ha analizzato per la prima volta il fenomeno della pittura strappata nel contesto europeo e mediterraneo, non solo in Italia e Spagna ma anche in rapporto a Paesi come Cipro, Grecia, Egitto e Israele, per mettere in luce, ancora una volta, la straordinaria collezione di pittura romanica del museo, e confrontarla con altre collezioni altomedievali, copte e bizantine.
Oltre 150 persone in presenza più un centinaio collegate via internet hanno partecipato alle due intense giornate dell’incontro, che si è concluso con un’escursione alla Valle de Boí, dove sorgono le chiese da cui sono state strappate le pitture che compongono la collezione del museo catalano.
Ne abbiamo parlato con il direttore dell’evento Manuel Castiñeiras, professore di Storia dell’arte medievale della Uab ed ex conservatore capo della collezione d’arte romanica del Mnac, che si è avvalso di un comitato scientifico composto da Anna Maria d’Achille, Antonio Iacobini e Marina Righetti (La Sapienza) e Jordi Camps e Gemma Ylla (Mnac).
Nuove tecnologie per rivivere il passato
«Il centenario degli stacchi e della musealizzazione delle opere che costituiscono il nucleo centrale della collezione del Mnac, una raccolta unica al mondo per qualità e quantità delle opere così come per la sua storia, solleva la necessità di ripensare la collezione per proiettarla nel futuro e per trasmetterla alla società del XXI secolo, una società sempre più dipendente dalle immagini, che richiede allestimenti immersivi e coinvolgenti, capaci di far rivivere allo spettatore l’esperienza originale», ha osservato Castiñeras, introducendo uno dei grandi temi del convegno: l’uso delle nuove tecnologie.
Il professore ha riferito gli elogi ricevuti dai relatori durante la visita a Sant Climent de Taüll nel Valle de Boí, dove grazie a un videomapping si può apprezzare una riproduzione fedele del Pantocratore conservato nel museo barcellonese. «Il pubblico chiede esperienze capaci di sedurlo, ha proseguito Castiñeiras. San Climent coniuga verità e ricostruzione grazie a una tecnologia che fa materializzare il Pantocrator come se fosse un’apparizione».
A questo proposito il direttore del Mnac, Pepe Serra, che di recente ha rivisto la museografia del Romanico, mantenendo le absidi nelle strutture create Gae Aulenti nel 1992, ma sottolineando il valore artistico delle opere e dando voce ai luoghi e al contesto, ha affermato che «per quanto non sia possibile né raccomandabile ricollocare le opere nelle rispettive chiese, visitare i luoghi d’origine consente di percepire un’atmosfera speciale».
Ha affrontato il tema delle tecnologie emergenti e degli ambienti immersivi, una delle conferenze più attese «Le residenze delle élite e degli dèi nella tarda antichità in Egitto: un’esplosione di colori» di Elizabeth Bolman, docente presso la Case Western Reserve University di Cleveland (Ohio), che da più di 15 anni studia la tradizione pittorica copta e recupera pitture murali del VI secolo, e attualmente sta lavorando alla creazione di una sezione di realtà aumentata nel nuovo Museo Egizio del Cairo.
Saccheggi di ieri e, purtroppo, di oggi
Un altro intervento molto importante è stato «Dispersione, recupero e musealizzazione dei frammenti degli affreschi provenienti dalla parte occupata di Cipro» di Ioannis Eliades, direttore del Museo Bizantino e della Galleria della Fondazione Arcivescovo Makarios III.
«La divisione di Cipro tra Turchia e Grecia ha contribuito a creare una situazione drammatica e il patrimonio è soggetto a un saccheggio continuo, ha ricordato Castiñeiras. Dopo l’invasione turca del 1974 e a causa dell’occupazione ancora in corso, più di 500 chiese sono state saccheggiate, tra 15mila e 20mila icone sono state rubate e frammenti di pitture murali e mosaici sono stati staccati e venduti all’estero, soprattutto in Germania mentre altri sono stati distrutti. Eliades lavora da anni per riportarli a Nicosia e i suoi sforzi hanno contribuito al rimpatrio di numerose opere d’arte che oggi sono esposte nel Museo Bizantino».
Tra le opere più importanti si annoverano le due composizioni di affreschi provenienti dalla cinquecentesca Chiesa di Antiphonitis, vicino a Kyrenia, con più di 100 frammenti, e gli affreschi dell’abside e della cupola della Cappella di Sant’Eufemiano nel villaggio di Lysi (XIII secolo), con 36 frammenti, venduti alla Menil Collection di Houston (Texas) e restituiti nel 2012 al Museo Bizantino di Nicosia.
«Non è un convegno di storia dell’arte. A noi interessa condividere esperienze e parlare della problematica di queste opere, direttamente legata al loro smembramento. L’obiettivo del convegno era riflettere su come esporle e spiegarle e su ciò che stanno facendo i musei e i luoghi d’origine», chiarisce Castiñeiras, sottolineando come il congresso, la cui terza edizione si terrà probabilmente proprio a Cipro, rafforzi un’importante rete di contatti internazionali, aprendo le porte a incontri incrociati e a progetti collaborativi in una prospettiva mediterranea.
Castiñeiras ha illustrato il caso degli insiemi pittorici di Santa María d’Àneu e Santa María de Cap d’Aran che esemplificano come pochi la complessa storia della riscoperta della pittura romanica catalana nel corso del XX secolo.
«In queste opere s’intrecciano l’interesse storico-artistico, il mercato dell’arte e la fascinazione delle avanguardie per l’arte medievale. Àneu costituisce il capitolo più brillante di questa riscoperta, a partire dai disegni di Domènech i Montaner nel 1904, mentre Santa María de Cap d’Aran rappresenta la versione più buia di quella storia, con una scoperta tardiva e lo sradicamento ad opera degli antiquari, che ne causò la frammentazione, la vendita e la dispersione in diverse raccolte, compresa la collezione privata di Antoni Tàpies, dove furono custoditi insieme ai ritratti del Fayyum» ha raccontato il professore.
Secondo Castiñeiras, «Àneu e Cap d’Aran, per l’affinità tematica del programma iconografico, per l’appartenenza a uno stesso ambito artistico e per alcune peculiarità della loro “mise en scène”, consentono di riflettere sulla creazione originaria degli ambienti sacri nella Catalogna romanica, sulla ricca interazione tra immagini, arredo liturgico e spazio architettonico, nonché sulla sorprendente origine italo-bizantina del suo repertorio estetico e tematico».
Gli strappi, tra etica e conservazione
Le strategie di conservazione e valorizzazione del patrimonio sono state al centro della seconda giornata che ha visto una vasta partecipazione di esperti italiani, tra cui Manuela Gianandrea e Roberta Cerone, entrambe dell’Università La Sapienza di Roma, che hanno parlato rispettivamente di alcuni dipinti murali staccati dell’Alto Medioevo romano e degli affreschi trecenteschi dalle chiese mendicanti di Rieti, staccati, dimenticati e infine ritrovati.
Uno degli interventi più attesi e applauditi è stato quello di Giorgio Bonsanti, dal titolo «La ricollocazione degli affreschi staccati, tra tecnica ed etica», che ha trattato le questioni tecniche relative agli stacchi, ma anche le conseguenze di carattere storico, etico, economico e giuridico, soprattutto riguardo alle ricollocazioni. Secondo Bonsanti gli stacchi non si fanno «quasi» più, i dipinti devono essere sottoposti a questa pratica solo in condizioni di estrema urgenza in assenza di altre soluzioni che ne assicurino il benessere e ne evitino la distruzione.
«Le tecniche di conservazione devono indirizzarsi verso consolidamenti in loco, prediligendo soluzioni di carattere inorganico come trattamenti con idrossido di bario, la creazione di ossalati di ammonio artificiali, le nanocalci e ultimamente il diammonio fosfato, che costituiscono un’alternativa all’applicazione di pellicole adesive e resine acriliche, ha spiegato Bonsanti. Le difficoltà della ricollocazione sono evidenti, è un po’ come cercare di rimettere il dentifricio nel tubetto. L’estetica ne soffre duramente, bisogna cercare la soluzione più compatibile e che abbia più fondamento. Ricollocarli nei grandi complessi religiosi può essere una soluzione non esaltante ma ragionevole. Sembra strano vedere un affresco del Pontormo, proveniente da un tabernacolo, in un’aula dell’Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze, anche se fu uno dei suoi fondatori, ma è sempre meglio che mantenerli in depositi inaccessibili. Nello stacco gli aspetti discutibili risiedono soprattutto nell’assenza di un progetto che ne affronti in un modo o nell’altro la restituzione ai cittadini».
Più Romanico
A tal proposito, il Mnac, sta completando sulla scorta di studi recenti gli insiemi di Sant Climent de Taüll, Sant Pere del Burgal e Sant Joan de Boí con l’integrazione di frammenti di dipinti perlopiù sconosciuti al pubblico, che erano conservati nei depositi e che permettono nuove letture delle opere. Nel caso di Sant Pere del Burgal, fino a pochi mesi fa i frammenti delle figure dei profeti erano mal collocati. Nel caso di Sant Climent de Taüll, la figura di Caino è stata integrata nell’abside, completando così la lettura della storia di Caino e Abele nell’arco indicato dalla mano di Dio. Il frammento incorporato, quasi intatto, per anni era stato esposto incorniciato, come un’opera a sé. La certezza della sua ubicazione nell’arco è stata confermata dalla scoperta dei resti pittorici nella Chiesa di Sant Climent e dagli interventi effettuati in situ a partire dal 2013.
Manuel Castiñeiras, consulente di riferimento del museo per il Romanico, sta inoltre lavorando alla creazione di un nuovo spazio dedicato al Maestro di Cabestany, scultore, erudito, viaggiatore e sostenitore del recupero della scultura romana del Basso Impero del III e IV secolo, finora grande assente nella collezione del Mnac. «Non si hanno dati biografici certi, né si conosce la sua provenienza, spiega lo studioso, ma le sue opere hanno caratteristiche riconoscibilissime, come la predilezione per il marmo e l’uso di un sistema, mutuato dai sarcofaghi romani, che creava un peculiare effetto di chiaroscuro. Ve ne sono in Toscana, nel Sud della Francia, in Aragona e naturalmente in Catalogna, dove il Governo autonomo della Generalitat ha di recente acquistato quattro frammenti scultorei provenienti dal Monastero di Sant Pere de Rodes».
Tutte queste iniziative, che dureranno fino al 2025 rientrano nel programma Più Romanico (museunacional.cat/mesromanic) che comprende anche collaborazioni con artisti contemporanei come Oriol Vilapuig. Quest’estate l’artista ha presentato nella Chiesa di Sant Joan d’Isil (Alt Àneu, Pallars Sobirà) «Forme d’olio e acqua. Impronte e figure nelle Valli d’Àneu». Il progetto, che risponde alla volontà del Mnac di attivare i legami della collezione con i luoghi d’origine, utilizza la tecnica del frottage per visualizzare immagini e forme ancestrali scolpite da artigiani nei recipienti destinati a contenere olio e acqua, residui di una cultura popolare, pagana e contadina, estranea ai discorsi storiografici egemonici.
«Queste iniziative, come il convegno, dimostrano, semmai fosse necessario, che il Romanico è vivo e quantomai attuale, come provano del resto tutti gli artisti che dalle avanguardie storiche a oggi hanno trovato ispirazione in queste opere. Per gli artisti del XX secolo, il Romanico rappresentava una liberazione dalle regole del Rinascimento. L’assenza di prospettiva, la gerarchia simbolica e l’uso del colore esercitavano un fascino enorme sulla nascente avanguardia. Tàpies, che lo definiva l’arte dell’essenza, possedeva varie opere e Picabia realizzò un’importante serie di lavori su Taüll e la sua forza onirica, ha rimarcato Castiñeiras. Il Romanico è arte, storia, patrimonio, turismo, dialogo e ricerca. L’arte catalana è entrata nell’immaginario collettivo internazionale grazie al Romanico e a questo museo».
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