Michela Moro
Leggi i suoi articoliTabari Artspace, una delle più rappresentative gallerie della scena MENA, (Middle East North Africa, acronimo di «Medio Oriente Nord Africa»), con una storia ventennale e basata a Dubai, palcoscenico internazionale e centro nevralgico della comunità artistica mediorientale, arriva a Milano con un gruppo di artisti giovani ma già consolidati, a conferma di quanto il capoluogo lombardo sia diventato nodo rilevante per la scena creativa internazionale. Per questo debutto milanese ha scelto gli spazi di Casa Cramer, un elegante appartamento di fine Ottocento in centro, come spesso hanno fatto le realtà straniere prima di stabilirsi in città. Maitha Abdalla, Alymamah Rashed, Nasser Almulhim, Bechir Boussandel, Samo Shalaby, Chafa Ghaddar, sono artisti con cui la galleria lavora e provengono da diverse Regioni del Medio Oriente, da Emirati Arabi, Arabia Saudita, Tunisia, Libano e portano una ventata di colore nelle sale dagli stucchi discreti. La mostra è curata da Bebe Leone, curatrice indipendente, con focus sugli artisti emergenti. «Il Medio Oriente vede l’Italia come il posto in cui venire a prendere un’ispirazione più legata all’arte classica. Pensano alla nostra tradizione, non all’arte moderna o contemporanea italiana. Tabari è una galleria molto interessata all’aspetto artigianale dell’arte, o alle tradizioni comunque artigianali, e l’Italia è sicuramente un posto da cui imparare». È interessante vedere lavori di artisti che hanno nella contemporaneità un background così lontano dal nostro. L’arte contemporanea nasce negli Emirati Arabi negli anni ‘90, ma non ha potuto raccogliere l’eredità dell’arte moderna come nel resto del mondo, o anche in altri Paesi arabi come l’Iraq e il Libano, dove c’è un trascorso artistico di grande spessore. «Per quanto riguarda il Saudi e gli Emirati diciamo che è tutto fresco» continua la Leone. «Il legame con l’Italia c’è anche perché Tabari Artspace ha già un’estensione in Italia, a Forte dei Marmi, dove la gallerista Maliha Tabari è proprietaria di La Serena, un hotel con residenze d’artista, dove sono stati ospitati alcuni degli artisti esposti».
Quali sono i loro riferimenti culturali? «L’artigianato, l’arte islamica in generale, con alcuni codici che si presentano sempre. C’è poca presenza di figurativo, molta di forme geometriche, di ripetizione, che è di quel mondo; anche in questi lavori si vede chiaramente, a volte sono estremamente geometrici. Il concetto della mostra è quello del talismano inteso come forza del processo creativo, come forma di viaggio interiore, spirituale, meditativo, in senso propositivo, perché il talismano rappresenta il varcare dei portali energetici». I panorami di Bechir Boussandel (1984) sono sia vuoti che abitati; le dune di sabbia colorate e in movimento sono disseminate di protagonisti solitari nella vastità del paesaggio, gli oggetti sono piccoli e definiti nello spazio incerto. Qui il congelamento dell’immagine è tanto una questione di pittura metafisica quanto di ornamento islamico.
Al contrario Maitha Abdalla, 1989, combina film, fotografia, scultura, pittura, disegno e performance. Affronta temi che vanno dal folklore e dalla mitologia al genere e al condizionamento sociale. Le scene fantastiche dell’artista si spostano tra astrazione e rappresentazione e sono cariche di dramma e malinconia e, contrariamente alla tradizione, propone una serie di opere con personaggi antropici e maiali, non certo animali popolari nel mondo arabo. Chafa Ghaddar, 1986, esplora l’uso dell’affresco nelle pratiche contemporanee e in altri processi, e lavora con murales, pittura, disegno, fotografia e tecnica mista. Ha detto: «Attraverso gli affreschi esploro la manifestazione del tempo sulle superfici. Lo vedo come un materiale vivente, costantemente soggetto a crescita che mi permette di perforare un ecosistema di coerenze e paradossi, e renderli miei». Tutti occhi che guardano all’arte contemporanea da punti di partenza diversi dai nostri.

Una veduta della mostra «The Power of Intention» con Bechir Boussandel, «Terrain vague», 2023 e «Purple Cloud», 2023 © Tabari Art Space. Foto Cesare Loppolo-Hey Crates Design
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