Dal 28 marzo all’8 giugno il Pac-Padiglione d’Arte Contemporanea presenta «Shirin Neshat: Body of Evidence», una mostra antologica dedicata alla carriera di una delle più influenti artiste degli ultimi decenni. Curata da Diego Sileo e Beatrice Benedetti, la rassegna espone oltre 200 fotografie e 10 videoinstallazioni, che guidano il pubblico in un viaggio attraverso i temi principali della carriera trentennale dell’artista (Iran, 1957).
Il punto di partenza per costruire la mostra è stata la serie probabilmente più famosa di Neshat, «Women of Allah», a cui l’artista ha lavorato dal 1993 al 1997 in risposta alle restrizioni imposte alle donne dalla rivoluzione islamica e che al Pac viene esposta nella sua interezza per la prima volta. Le donne ritratte, vestite nel rispetto delle leggi iraniane, impugnano armi da fuoco (tipicamente associate alla mascolinità) e sono ricoperte da citazioni di poesie femministe persiane. L’imponente serie domina concettualmente e visivamente la mostra, grazie a una posizione di rilievo sulla balconata centrale.
Il resto del percorso espositivo offre un’occasione, afferma Benedetti, di ritrovare le «ossessioni dell’artista: dalla dualità di genere, espressa con una visione femminile sul mondo, alla dualità tra il mondo occidentale e orientale, dal tema dell’esilio al senso di appartenenza, da un universo onirico a un sentire collettivo». Ad accogliere lo spettatore c’è, ad esempio, il video «Fervor» (2000), un’installazione che mostra su due schermi affiancati ciò che accomuna uomini e donne, opponendosi ideologicamente alle installazioni seguenti; mentre «Rapture» (1999) e «Turbulent» (1998) mettono in luce la dualità del mondo e tra i generi. Seguono installazioni dedicate a esplorare il confine tra sogno e reale, tra potere incondizionato e ribellione, e la serie fotografica «The Book of Kings», che tratta della corruzione elettorale iraniana.
Nell’ultima sala, a conclusione della mostra e come punto di inizio e fine della ricerca di Neshat, «Soliloquy» (1999) e «Passage» (2001) ci ricordano la ciclicità di morte e rinascita. Per trattare questi temi, Neshat si ispira alle correnti del Surrealismo e del Realismo magico, creando delle tavolozze cromatiche e dei contrasti di luce che trasportano il pubblico in paesaggi onirici, non immediatamente comprensibili, ma che riescono a trasmettere sentimenti universali. Anche il titolo della mostra, «The Body of Evidence», gioca su questo senso di mistero e di enigmaticità propri dell’artista, grazie a una doppia traduzione: da un lato, il corpo in evidenza, come fulcro centrale della ricerca artistica di Neshat; dall’altro, il corpo del reato, un termine giuridico che invita a scoprire i segreti che rendono l’arte vicina alla realtà.

Shirin Neshat, «Passage», 2001