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Carole A. Feuerman, «Mona Lisa», 2019, collezione dell’artista

Photo: Courtesy of the Artist Studio

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Carole A. Feuerman, «Mona Lisa», 2019, collezione dell’artista

Photo: Courtesy of the Artist Studio

A Roma i corpi delle donne di Carole Feuerman

Palazzo Bonaparte ripercorre cinquant’anni di carriera dell’artista americana: «Ogni opera porta con sé un’esperienza che vorrei non andasse mai perduta»

Sanzia Milesi

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Con i suoi accessori, i tatuaggi e le cicatrici, il corpo si espone e ci racconta. E lo racconta da oltre cinquant’anni anche l’artista statunitense Carole A. Feuerman (Connecticut, 1945), dal 4 luglio al 21 settembre protagonista della mostra antologica «La voce del corpo» nel Palazzo Bonaparte di Roma. Il percorso riunisce oltre una cinquantina di opere, dalle prime esperienze negli anni Settanta sino ai nostri giorni, ripercorrendo la sua carriera a cavallo tra Iperrealismo e Pop Art, secondo un preciso filo conduttore: la sua estetica del corpo e la sua poetica della figura intera, così come del frammento. Dalle sue più note sculture in resina epossidica, colorata con oli o lacche, a bronzi e sfere in acciaio lucido; dai primi lavori giovanili come grafica pubblicitaria, poco noti al grande pubblico, alle illustrazioni per il «New York Times» del 1972 a quelle per il tour dei Rolling Stones, passando per l’autoritratto del 1978, «due gambe scultoree e scarpe con la zeppa», come racconta lei stessa; per finire con l’installazione site specific «Mitologie individuali», presentata per la prima volta a Roma: una struttura reticolare (realizzata con il designer Marcello Panza) di calchi del 2022 di teste, mani, scarpe, piedi in diversa scala. 

«Nel 1967, dopo essermi diplomata alla School of Visual Arts, ho iniziato a realizzare calchi di piccoli frammenti di donne, uomini, coppie che esprimevano una relazione reciproca. Facevo calchi dal vivo direttamente sui corpi delle persone, ricorda Carole A. Feuerman nel catalogo edito da Moebius. Le mie prime opere rappresentavano la figura femminile in modo da mettere in risalto forza, bellezza e sensualità. Il mio intento era sovvertire le rappresentazioni tradizionali delle donne nell’arte. Non capivo perché il mio lavoro non venisse accettato. Il mio approccio faceva eco a una società desiderosa di ridefinire i ruoli di genere e di promuovere una maggiore uguaglianza, facendo delle mie sculture lo specchio degli ideali femministi contemporanei».

È così che Carole A. Feuerman non si è lasciata affatto scoraggiare dall’insuccesso della sua prima mostra, «Fragments, Rated X», nel 1978, chiusa a un giorno dall’inaugurazione poiché ritenuta «troppo provocatoria».

Carole A. Feuerman, «Reflections», 1985, collezione della The Arnold and Carol Wolowitz Foundation. Photo: Courtesy of the Artist Studio

Carole A. Feuerman, «Survival of Serena», 2022 (particolare), collezione dell’artista. Photo: David Brown

A dominare centralmente le sale, come anche a sbucare dalle pareti quasi andando incontro allo spettatore, sono proprio le «sue» donne: una nuotatrice imperlata di gocce d’acqua mentre esce dal mare; la bagnante in bikini con il suo pallone colorato (in rimando a «Girl with Ball» di Roy Lichtenstein del 1961); una donna in meditazione yoga, seduta sopra una sfera che riflette porzioni del mondo circostante; una danzatrice, o una scarpetta da ballerina, in una gamba che ne è frammento; corpi nudi, anatomie femminili, una schiena, un volto, mani intrecciate o che si aggrappano a un salvagente di fortuna. «Le sue figure femminili, commenta Iole Siena, presidente di Arthemisia, che ha organizzato la mostra di Palazzo Bonaparte al fianco della Feuerman Sculture Foundation, si distinguono per la resa minuziosa della pelle, dell’acqua, del sudore, della luce che accarezza i corpi. Il corpo è un contenitore di emozioni e le sue figure, seppure intrise di realismo, sono silenziose, sospese fuori dal tempo e dalla realtà».

«Il corpo, chiarisce il curatore della mostra Demetrio Paparoni, porta impressi i segni delle nostre storie, di traumi, di trionfi, di sconfitte, di cambiamenti. Una cicatrice può rappresentare un momento di debolezza superato, trasformandosi in un simbolo di resilienza nella propria mitologia personale. Un accessorio, come una scarpetta a punta o una cuffia da nuotatrice, svela sicuramente qualcosa di chi lo indossa. Anche i tatuaggi rappresentano tentativi di riscrivere la propria narrazione corporea, di marcare passaggi importanti della propria vita, di esprimere la percezione che si vuol dare di sé o che si ha di sé. È proprio per questa loro capacità di dare voce al corpo con la loro presenza fortemente caratterizzante che Feuerman li ha inseriti nelle sue sculture, prevalentemente torsi o busti incompleti, che sembrano emergere dalle pareti. Il corpo ha dato e continua a dare a Feuerman la possibilità di esplorare temi universali come la ricerca dell’armonia, la lotta per la sopravvivenza, l’affermazione dell’identità femminile e la consapevolezza della fragilità esistenziale. È il segno attraverso cui Feuerman comunica la complessità dell’esperienza umana». Perché, ci spiega la stessa Carole A. Feuerman: «Ogni opera porta con sé un’esperienza che vorrei non andasse mai perduta».

Carole A. Feuerman, «The Girl You Thought You Were Holding», 1981, collezione dell’artista. Photo: David Brown

Sanzia Milesi, 04 luglio 2025 | © Riproduzione riservata

A Roma i corpi delle donne di Carole Feuerman | Sanzia Milesi

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