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Da sinistra a destra, Michela Moro, Vincenzo De Bellis e Roberta Olcese

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Da sinistra a destra, Michela Moro, Vincenzo De Bellis e Roberta Olcese

A Santa Margherita in dialogo con De Bellis

Nel centro balneare ligure si è svolta una stimolante tavola rotonda sul panorama artistico e sul mercato contemporaneo partendo dalla collezione MiramArt

La Redazione

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Andrea Fustinoni è un collezionista di lungo corso che vive tra la Svizzera e Santa Margherita Ligure, dove sostiene l’arte contemporanea anche attraverso gli eventi del Gran Hotel Miramare, uno dei più antichi e imponenti alberghi della costa, gestito dalla sua famiglia. La MiramArt, collezione di arte contemporanea del Grand Hotel, che Fustinoni ha fatto crescere nel tempo, consta oggi di più di trenta opere di artisti, che hanno lavorato spesso in modalità «site specific». La raccolta, interamente datata dopo il 2000, è stata celebrata la scorsa settimana con l’incontro «Art Basel today (and tomorrow)», con un ospite d’eccezione, Vincenzo De Bellis, direttore delle fiere e delle piattaforme espositive di Art Basel. La conversazione è stata vivacemente condotta da Michela Moro («Il Giornale dell’Arte»), e Roberta Olcese, («Il Secolo XIX»), entrambe specializzate nel mercato dell’arte, che hanno sollecitato De Bellis con una serie di domande a cui ha risposto con generosità fotografando in più di un’ora e mezza la situazione di Art Basel e fornendo un panorama esaustivo su quella, più in generale, dell’arte contemporanea: la fiera, con i suoi rapporti complessi, è infatti uno dei principali motori del mercato. Partendo dalla storia della kermesse svizzera gestita da MCH Group, giunta alle sue cinquantaquattro primavere (è stata fondata nel 1970), il direttore ha ribadito come questa sia in gran parte di proprietà del settore pubblico, i Cantoni di Basilea e Zurigo, per i quali è un «prodotto» di estrema importanza.

Durante il dibattito è emerso che Art Basel recentemente è stata messa a dura prova dalla guerra in Israele, perché questa coinvolge praticamente tutti Paesi che hanno sempre intrattenuto rapporti con l’appuntamento annuale delle gallerie. Altro impatto di rilievo è stato l’aumento dei costi per gli espositori rispetto ai tempi pre-pandemia (tra produzione, viaggi, trasporti) arrivato infatti a essere superiore quasi del 300%. Questo scenario ha fatto sì che il mercato collezionistico, pur mantenendo come riferimento la piazza economica americana, si stia «regionalizzando» sempre di più (scenario che De Bellis aveva con lungimiranza già intravisto dalla sua postazione di direttore di Miart). Questo non significa che Miami, Hong Kong e Parigi non abbiano una grande importanza per la costellazione Art Basel, ma l’edizione svizzera conta comunque, per impatto economico e numero di gallerie (287 a Basilea, 270 a Miami, 240 a Hong Kong, 186 a Parigi), maggiormente delle altre sedi. «Parigi senza Brexit non sarebbe mai nata», ha risposto De Bellis alle sollecitazioni sulla Ville Lumière. «Era la nostra fiera più piccola e la più complicata da gestire al Grand Palais. Oggi è molto importante per il nostro portfolio. Copiando il sistema fiscale anglosassone, con l’IVA al 5,5% in entrata e al 5% in uscita, si dimostra molto attrattiva, senza contare che lì operano i due principali gruppi del lusso mondiale, LVHM e Kering, capitanatati dal proprietario di Christie’s, Arnault, e dal più importante collezionista, Pinault. Nonostante ciò, Parigi non sostituirà mai Basilea, dove i collezionisti vengono ripetutamente in fiera e non sono distratti dalle mille sollecitazioni della capitale francese».

Da sinistra a destra Andrea Fustinoni, fondatore di miramART, Adelaide Marchesoni, presidente Collective, Vincenzo De Bellis, Michela Moro e Roberta Olcese

E l’arte dove va? A giudicare da quanto emerge dal confronto che si è svolto al Gran Hotel Miramare, pare verso una sempre maggior diversificazione, verso luoghi inesplorati, come si è visto anche alla recente Biennale, che riposiziona la storia dell’arte in un’ottica mai vista: ogni due anni la rassegna veneziana fotografa una situazione esistente, a differenza delle fiere che ogni tre mesi espongono nuove proposte. La pittura resta il mezzo più espressivo, ma è meno figurativa, così come sale l’interesse per la scultura. De Bellis guarda con interesse al «Far East» in generale, secondo lui foriero globalmente di nuove forme espressive e nuove estetiche che provengono anche da cinema, musica e perfino serie televisive. Le elezioni in vari paesi del mondo avranno inoltre incidenza sui sistemi fiscali, specialmente in USA.

I player del mercato sono cambiati, ci sono meno collezionisti e più compratori che vedono nell’arte un prodotto anche finanziario, mentre sarebbero auspicabili più collezioni e meno investimenti, ma l’arte non è più fatta solo di relazioni.Infine, una riflessione anche sul Belpaese: l’Italia si dibatte coi problemi di sempre, con una fiscalità che penalizza il mercato e un sistema educativo che non gode di un dibattito politico e sociale da cui anche gli artisti possano trarre ispirazione, come per esempio ai tempi dell’Arte Povera. De Bellis ha avuto parole comprensive ma severe per gli artisti italiani, che hanno molto da raccontare ma sono viziati dal bello che rende la vita facile. «Bisogna lavorare di più, bisogna operare ed essere operai dell’arte». Di certo lui non si tira indietro, e l’ha dimostrato anche in questa occasione.

 

La Redazione, 21 maggio 2024 | © Riproduzione riservata

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