Daniela Ventrelli
Leggi i suoi articoliDa sempre, la conferenza che introduce i lavori al Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia costituisce un momento di significativa riflessione e, al pari delle conclusioni, viene affidata a specialisti di comprovata fama ed esperienza interdisciplinare. L’ouverture di quest’anno ha visto protagonista (per la seconda volta dopo il 1997) Jean Loup Amselle, noto antropologo culturale francese, esperto in Africa occidentale precoloniale, con la sua Antropologia degli eroi. Una relazione complessa quanto ampia su un mondo solo apparentemente differente da quell’orizzonte ellenico o/e ellenizzato a cui il convegno tradizionalmente si rivolge.
La disamina è partita da un confronto tra Grecia antica e Africa subsahariana in tempo precoloniale, in particolare l’Impero del Mali, di cui Amselle è specialista, e che sin dal secolo scorso vanta notevoli contributi di studiosi francesi. Segnalando i numerosi dubbi che questa comparazione, da sempre, suscita in alcuni teorici afrocentristi, l’antropologo ha evocato alcune epopee dell’Africa occidentale, soffermandosi su quella di Sundjata Keita, fondatore dell’Impero del Mali nel XIII secolo, eroe sudanese per eccellenza. Attraverso una puntuale analisi delle fonti, pur sottolineando la difficoltà di ricostruire il contesto in cui di fatto si costruisce una leggenda o un mito, Amselle ha ricordato la storia della nascita di un «eroe», di chi lo crea e lo diffonde, il «griot» o aedo, e della sua tipologia: l’eroe positivo e l’antieroe.
Le caratteristiche di Sundjata, realmente esistito secondo Ibn Khaldoun, sono quelle tipiche di un eroe occidentale. Viene, infatti, paragonato a Djoulkaranaïni («il bicornuto» in arabo), ovvero Alessandro Magno, apparendo innanzitutto come un predestinato, poi un cacciatore, un mago, un guerriero e un legislatore, «insomma un essere straordinario e anche un musulmano che si oppone ai pagani che lo circondano», chiosa Amselle.
Passando in rassegna anche i tratti caratteristici dell’antieroe, attraverso l’esempio di Soumaoro Kanté (imperatore del Sosso, l’impero che precede l’Impero del Mali) e Sonni Ali Ber (sovrano dell’Impero del Songhai, succeduto all’Impero del Mali), quasi sempre rappresentati come feticisti, incestuosi e malvagi, l’antropologo ha sottolineato che tra gli antieroi si annoverano anche i primi occupanti di un luogo, gli autoctoni, inquadrati in uno schema strutturale che li oppone ai conquistatori visti come stranieri. Un’antitesi che al Convegno di Studi sulla Magna Grecia evoca quel confronto/scontro epico tra greci e indigeni, oggetto di lunghi dibattiti e memorabile letteratura scientifica, da Pietro Orlandini a Ettore De Juliis, da Michel Gras a Enzo Lippolis, da Bruno d’Agostino a Luca Cerchiai, fino a Emanuele Greco e Mario Lombardo, riecheggiando lo schema contrappositivo canonico tra Dori e Ioni. E mentre la conferenza apriva a numerosi dubbi in merito al comparativismo e al problema delle fonti, chiedendosi se fosse possibile confrontare la Grecia antica e l’Africa occidentale precoloniale o se, invece, eventuali analogie fossero solo il frutto di una proiezione degli etnologi e degli ellenisti, Amselle riconduceva il pubblico a un contesto storico-politico ben definito, specialmente alla luce della facile reversibilità delle storie (e quindi della loro «morale») evocate, in particolare attraverso l’emblematica opposizione tra Sundjata e Sumaoro. «Le analisi strutturali dei racconti, come quelle di Jakobson e Propp, o dei miti come quelle di Lévi-Strauss e Vidal-Naquet, hanno un interesse limitato: si concentrano solo sulla forma, sui modelli, ma non sulle modalità utilizzate dai griot, dagli “enunciatori”, in realtà figure politiche che si riferiscono a situazioni storicamente determinate», sostiene Amselle. L’Africa saheliana è attualmente teatro di scontro tra un processo di reislamizzazione e di reanimizzazione, di ritorno al culto degli antenati, ai sacrifici antichi. La promozione di uno o dell’altro modello di eroe dipende, quindi, dalla prospettiva adottata dai diversi attori che se ne servono, a volte anche inventandone di nuovi. Modelli e culti che, all’interno del dibattito tarantino tra eroi fondatori di colonie (ecisti), eroi di frontiera ed eroi dei «nostoi», dei ritorni da Troia, hanno suscitato non poche intuizioni, stimolando un inevitabile pensiero «in divenire», come nella migliore tradizione dell’antropologia storica e sociale.
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