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Matteo Mottin
Leggi i suoi articoliIl museo di arte moderna di Varsavia Msn Warsaw presenta fino all’8 giugno «The Cynics Republic-Plac Defilad», un progetto a cura di Pierre Bal-Blanc che propone una visione alternativa della storia della Performance art attraverso l’ipotesi di un’influenza della scuola filosofica dei Cinici. La mostra si è inaugurata il 10 maggio e le sue cinque settimane di durata sono scandite su cinque tematiche (disonore, sfacciataggine, indigenza, tribolazione, scardinamento) proprie della filosofia cinica, creando un dinamico contesto interpretativo per le opere delle collezioni del Msn Warsaw e della Kontakt Collection di Vienna, che sono di volta in volta allestite su una struttura verticale costruita nel pozzo dello scalone del museo. Abbiamo incontrato il curatore.
Come le è venuta l’idea di una connessione tra Performance art e filosofia cinica?
Il progetto è iniziato con il mio arrivo ad Atene nel 2015, quando facevo parte del team di documenta 14. Stavo indagando il background culturale e presto mi sono confrontato con le filosofie che sono nate in quel Paese. Cercavo delle alternative al canone occidentale. Secondo Adam Szymczyk, spostare documenta ad Atene è stato un modo per costringere il pubblico a pensare in modo diverso e a cercare di guardare alla cultura occidentale da un’altra prospettiva. La filosofia cinica ha messo in discussione la filosofia platonica e quella aristotelica, basandosi molto di più sul movimento, sul gesto e su espressioni non retoriche. Questo ha suscitato il mio interesse e ho iniziato a indagarne a fondo l’eredità. Raccogliendo frammenti di testo trovati su diversi trattati mi sono reso conto che questi erano molto vicini alle istruzioni e alle partiture utilizzate nella Performance art, e che i Cinici organizzavano la loro alternativa in modo affine a una pratica artistica, una maniera olistica di parlare attraverso il corpo e la sua posizione nello spazio, e non tramite un mero esercizio intellettuale condotto solo con il linguaggio razionale. I frammenti sono estremamente contemporanei e ci permettono di guardare alle pratiche odierne da una nuova angolazione. Solitamente, gli storici dell’arte vedono Dada e il Futurismo come segni del passaggio dal teatro alla performance, ma i frammenti cinici spostano questo passaggio a un momento di molto precedente. La filosofia cinica ha avuto anche una forte influenza orientale. È un tesoro collettivo globale e condiviso.

Una veduta della mostra «The Cynics Republic-Plac Defilad» al Msn Warsaw. Photo: Pat Mic
Crede che il legame tra performance e Cinismo si individui anche in una maggiore attenzione verso l’inconscio del praticante?
È più che altro una questione di non distinzione tra corpo e mente. La filosofia cinica, a differenza dei Platonici e degli Aristotelici, non opera questa distinzione. I Cinici pensano che il corpo parli tanto quanto la lingua, e che un movimento e una posizione nello spazio siano mezzi espressivi. Credo inoltre che la filosofia cinica sia un modo straordinario per comprendere il significato di conoscenza collettiva. Oggi siamo concentrati sui modi in cui possiamo condividere conoscenza con l’Intelligenza Artificiale, e credo che il pensiero dei Cinici sia una risorsa, o una sorta di codice sorgente, per meglio affrontare questo passaggio culturale. Nel contesto di «The Cynics Republic-Plac Defilad» ne applico il pensiero come se fosse una matrice, per spalancare le coscienze e guardare alle pratiche contemporanee. In mostra è distribuito gratuitamente un libro con una raccolta di 100 frammenti, e vorrei che venisse usato come una lente per leggere le performance e i film esposti.
Ha inserito il concetto di non separazione tra corpo e mente anche nell’allestimento e nella struttura della mostra?
La sfida è stata appunto quella di non utilizzare la filosofia cinica come contenuto, ma anche come pratica, radicando il progetto nel luogo in cui viene presentato. Il progetto si basa su un flusso costante di attività, performance, proiezioni, concerti, che generano sempre nuovi significati. Le cinque settimane a Varsavia sono organizzate intorno a cinque temi, articolati su questo nuovo edificio situato nella piazza centrale della città, vicino al Palazzo della Cultura, una grande torre regalata da Stalin alla Polonia negli anni Cinquanta. È un’alta torre verticale dall’aspetto estremamente dominante, mentre il Msn, al contrario, è un edificio che si sviluppa orizzontalmente. Sono rimasto affascinato dalla scala monumentale del palazzo del Msn, uno spazio vuoto che, in un certo senso, si relaziona con la piena verticalità della torre all’esterno come se ne fosse il fantasma. Considero lo scalone come la spina dorsale del museo, in quanto distribuisce la conoscenza a tutti i livelli, svolgendo un forte ruolo di guida per il pubblico. Per la mostra, invece di utilizzare l’orizzontalità di una sala, mi sono concentrato su questo spazio per progettare una mostra verticale, organizzandola intorno alla salita e alla discesa dei visitatori, installando diverse opere su un’alta impalcatura, una struttura temporanea che rimanda alla costante necessità di sperimentare e ricostruire, perché un museo non dovrebbe essere un luogo congelato ma un organismo in continuo divenire.
Nel progetto ci sono molti elementi caratteristici della sua ricerca curatoriale, come l’analogia tra la struttura della mostra e l’anatomia umana, e il rapporto tra l’interno e l’esterno dello spazio espositivo. Un’altra caratteristica dei suoi progetti è che, spesso, non scrive «curated by» («a cura di»), ma «scored by» («con una partitura di»). Perché ha deciso di usare questo termine?
È per attirare l’attenzione sul fatto che la curatela non è solo una questione intellettuale, ma anche di coinvolgimento del corpo. Si tratta esattamente di quello che abbiamo discusso prima, del non fare alcuna distinzione tra corpo e mente anche nella pratica, e la partitura, che deriva dagli ambiti della musica e della danza, dalla pratica di Anna Halprin, permette di introdurre un modo più olistico di approcciare la curatela. Insisto su questo punto, perché è anche un dovere sociale coinvolgere il pubblico nel lavoro e nella possibilità di costruire ciascuno la propria mostra, e la partitura è una struttura che permette a tutti di farlo. Non è un qualcosa di imposto sul visitatore, è al contrario un’opportunità per usare la mostra come strumento di indagine.

Una veduta della mostra «The Cynics Republic-Plac Defilad» al Msn Warsaw. Photo: Pat Mic