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Carolina Trupiano Kowalczyk
Leggi i suoi articoliQuanto è raro incontrare piccoli gioielli museali che sfuggono ai percorsi consueti, tanto è appagante riscoprirne i tesori attraverso mostre di studio che ne valorizzano ambienti e antiche collezioni. Presso la Fondazione Museo Miniscalchi-Erizzo di Verona, dove ad accoglierci è il «Ritratto del Procuratore Nicolò Erizzo» (1767) di Alessandro Longhi, nelle sale della loggia quattrocentesca è allestita, fino al 30 giugno, la mostra «Capolavori su carta. Disegni della Fondazione Museo Miniscalchi-Erizzo tra Rinascimento e Barocco». Curata da Thomas Dalla Costa e Giovanna Residori, con Maria Aresin e Gabriele Matino, la mostra rappresenta non solo una première per 30 disegni scelti della Collezione Moscardo, ma anche una stimolante occasione per la rilettura della grafica nord-italiana e in particolare veronese tra Cinque e Seicento.
Il progetto, vincitore del prestigioso bando internazionale «The Paper Project» della Getty Foundation, getta nuova luce su una raccolta mai studiata sistematicamente: i 168 disegni superstiti di un fondo che contava più di «2mila fogli in libri trà Dissegni, & Carte stampate de maggiori pittori virtuosi del mondo» di Pisanello, Michelangelo, Parmigianino, ma anche Farinati, L’Orbetto, i Brusasorci. Con una delle raccolte grafiche più importanti della Serenissima, numericamente seconda solo a quella di Zaccaria Sagredo (1653-1729), entriamo nel cuore della preziosa collezione dell’erudito conte veronese Ludovico Moscardo (1611-81).
L’arte del disegno, intima, fragile, pulsante, torna al centro del discorso storico artistico attraverso un percorso espositivo costruito per evocare il processo creativo dell’artista grazie a un allestimento elegante nella sua sobrietà contemporanea. È stato tracciato un nuovo orizzonte attributivo e condotto un lavoro filologico per redigere il catalogo della collezione (Silvana Editoriale). Molte nuove attribuzioni sono basate su confronti stilistici pertinenti, ma lasciano aperte questioni interpretative: numerosi i fogli rimasti nell’anonimato, con l’auspicio che la pubblicazione possa portare a nuove stimolanti proposte.
È tipica la «Testa di anziano uomo barbuto con turbante» (inv. 35) di Jacopo Bassano (ca 1510-92), ma la degradazione della superficie ne inficia a tal punto il godimento che, nonostante si possa immaginare l’originale efficacia, la scelta dell’opera come copertina non risulta rappresentativa della raccolta. Sapiente l’uso sfumato della pietra rossa nello «Studio di guerriero africano» (inv. 161 verso) di Battista del Moro (ca 1514-74), dal corpo muscoloso colto in dinamico movimento. Il tardo Bernardino India (1528-90), «Allegoria della Carità» (inv. 162) con i piccoli occhi come fori e i capelli attorcigliati che ricadono sulla nuca, la silhouette allungata e la corporatura massiccia, già attribuito da Sergio Marinelli (1980); mentre alla sua cerchia è ricondotta la «Scena di sacrificio classica con sei figure» (inv. 9). Non è stato notato che il foglio, dalla linea veloce e nervosa, con gli aloni di inchiostro gallico, è in rapporto con la «Sacra Famiglia in un’architettura» (inv. 10), attribuito ad Anonimo (veneziano?) del 1560-70, ove identico al Sacerdote anziano appare il volto inclinato di Giuseppe, caratterizzato dallo stesso naso aquilino, la lunga barba che si biforca a ciuffi ben distinti, come fiamme, nonché la mano sinistra artigliata, affianco a una giovanissima Maria dalla corporatura michelangiolesca.

Alessandro Maganza, «San Giorgio e la principessa», 1600 ca (inv. 24)
Stessi segni morelliani che ritroviamo in un altro disegno, «Studio di santi e apostoli» (inv. 61), dubbiamente ricondotto all’ambito di Felice Brusasorci (?). Il «Ratto delle Sabine» (inv. 126) è giustamente accostato da Giulio Zavatta (Università Ca’ Foscari) a Marcantonio Bassetti (1586-1630) per la tecnica che gioca con i contrasti, un ulteriore confronto può essere attuato con la produzione del fiorentino Andrea Boscoli (ca. 1560-1607), che alacramente copiò gli affreschi di Polidoro da Caravaggio, con la tipica raffigurazione manierata delle figure che ritroviamo nel disegno dell’Icgr (D-FC124211). Straordinaria l’iconografia concepita da Paolo Farinati (1524-1606) nello «Studio per scena di stregoneria» (inv. 102), condotto con insistiti tratti di penna e inchiostro, dove demoni alati rispondono ai comandi di una donna nuda, tra anfore e fiaccole fumanti. L’attribuzione a Felice Brusasorci (1539-1605) dell’«Adorazione dei Magi» (inv. 50) è supportata dalla presenza del foglio nell’elenco degli «incorniciati» di Moscardo nonché dall’iscrizione trovata sul verso in occasione del restauro, risolutivo per rendere leggibile l’opera. Apprezzandone i raffinati passaggi cromatici e la biacca che fa emergere i corpi sulla carta preparata in bruno, riconosciamo le fattezze orientali dei magi con il loro entourage di paggi, cavalli e giganteschi cammelli.
Dinamico, elegante, con i corpi uniti da linee continue e circolari di penna in una serrata composizione è il foglio di Alessandro Maganza (ca 1556-1632), «San Giorgio e la principessa» (inv. 24). Lo «Studio di monaco inginocchiato» (inv. 130) dell’emiliano Bartolomeo Cesi, con la resa volumetrica del saio costruito con il medium morbido della pietra rossa (non carboncino) e il rinfrangersi della luce sul volto e sulle mani del giovane monaco intensificata dal gessetto bianco (non biacca), è un’opera intensamente spirituale. Il seducente «Omaggio a Venere» (inv. 135) del trentino Biagio Falcieri (1627-1703), concepito all’interno di una scenografia teatrale, è preparatorio per un affresco, con il tipico ductus frammentato alternato a linee sinuose, che ci introduce nel decorativismo settecentesco.
La mostra cela una sfida implicita: suggerire, tramite questi fogli superstiti, la possibilità di tentare una ricostruzione della collezione Moscardo. Infatti, già dalla fine del Seicento gli eredi decidono di «vendere tutto il museo», finché, Mario Miniscalchi Erizzo ne decretò la definitiva dispersione, vendendo nel 1905 un numero imprecisato di fogli all’antiquario Luigi Grassi, tramite per gli acquisti di Frits Lugt, Robert Lehman e János Scholz. Grazie al marchio impresso da Grassi questo auspicio è realizzabile, e porterebbe a una nuova mostra di capolavori, oltre a omaggiare la memoria del grande collezionista.

Bartolomeo Cesi, «Studio di monaco inginocchiato», 1590-1600 (inv. 130)