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Flavia Foradini
Leggi i suoi articoliFranz Xaver Messerschmidt li chiamava semplicemente «ritratti», ma le sue teste di carattere erano molto di più e si radicavano nei «frammenti fisiognomici» di Johann Caspar Lavater, negli insegnamenti teorici di Georg Christoph Lichtenberg sulla patognomica e in quelli del medico e iniziatore del mesmerismo Franz Anton Mesmer, che a detta dei contemporanei era suo grande amico. Si era nel Settecento e lo studio delle fisionomie appassionava l’artista nato in Germania nel 1736 e vissuto prevalentemente a Vienna, dove si era anche formato a quella stessa Accademia di Belle Arti, dove poi insegnò per un quinquennio.
Soprattutto in piombo o alabastro nacquero così, a partire dal 1770, 67 stupende raffigurazioni di uomini dal carattere più svariato: «L’arcivillano», «Il Preoccupato», «Lo sciocco», «Il nobile d’animo», «Il lavoratore», «Il cattivo», «L’affidabile». Piccoli capolavori che tuttavia, per vedere riconosciuto appieno lo straordinario talento che li aveva creati, dovettero attendere la morte dell’artista nel 1783, avvenuta a Bratislava. Nella città slovacca Messerschmidt si era trasferito dopo il licenziamento come docente alla metà degli anni ’70 del Settecento: i suoi comportamenti allora ritenuti eccessivamente bizzarri lo avevano fatto cadere in disgrazia.
Dal 1760 e fino al suo ritiro sociale precedente alla morte, Messerschidt era stato un più che apprezzato artista e ritrattista, cui si rivolgevano nobili e anche membri della corte asburgica per essere raffigurati, su su fino a Maria Teresa, cui attorno al 1765 dedicò una statua in lega di stagno, che la ritraeva in piedi con le insegne imperiali.
Franz Xaver Messerschmidt, «Franz Anton Mesmer», 1770
La produzione di Messerschmidt, definito a fine Settecento come «il William Hogarth scultore», fu dunque più ampia della serie di teste che l’ha fatto entrare nella Storia dell’arte come profondo scrutatore dell’animo umano, e ne dà conto la mostra che il Belvedere Inferiore di Vienna presenta dal 31 ottobre all’8 marzo 2026 col titolo «Franz Xaver Messerschmidt. Più che teste di carattere».
Curata da Katharina Lovecky, Georg Lechner e Axel Köhne, la selezione di oggetti esposti spazia dalle teste a una variegata serie di altri manufatti e inserisce l’artista nel contesto storico artistico del suo tempo: «Il nostro intento, spiegano i curatori, è di illustrare l’intera produzione di Messerschmidt e di mettere in discussione e sfatare alcune leggende attorno alla sua persona».
Da qui l’esposizione di lavori di artisti coevi, fra l’altro dei pittori Joseph Ducreux e Anton Graff, e degli scultori Johann Baptist Straub, Charles-Nicolas Cochin e Balthasar Permoser, che vengono fatti dialogare con le opere di Messerschmidt, e mettono in rilievo come «le raffigurazioni barocche lascino via via il posto a ritratti in cui emergono caratteristiche individuali: non lo status sociale, bensì i tratti personali divengono determinanti nella rappresentazione. Nel secolo dei Lumi, il volto diviene specchio dell’anima e viene studiato e categorizzato: uno sviluppo che nel tempo porterà anche a concezioni razziste». Da qui la decisione dei curatori di rinunciare ai titoli decisi per le teste da Franz Friedrich Strunz: dieci anni dopo la morte dell’artista acquisì 49 teste dal fratello dell’artista, le espose per la prima volta nel 1793 e redasse un catalogo in cui forniva elementi biografici e assegnava alle opere i titoli poi giunti fino a noi. Nella mostra al Belvedere Inferiore le opere vengono dunque presentate solo con il numero di serie.
Attorno al nucleo delle teste, di cui il Belvedere possiede la maggiore collezione al mondo (22 pezzi più 4 in comodato), fra le opere esposte spiccano i ritratti del medico di corte Gerard van Swieten (nel 1769 in piombo dorato e nel 1772 in marmo), di Franz Anton Mesmer (1770), il bassorilievo del duca Albert von Sachsen-Teschen (1777-80) e il marmo «Allegoria della religione» (1775-77).
Franz Xaver Messerschmidt, «Testa di carattere», 1777