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ARTis. Non c’è arte senza artista | Elena Ketra

Alla vigilia della prima edizione di ARTis a Vicenza, una riflessione degli artisti sul ruolo dell’artista: costruttore di immaginari, figura professionale, motore di trasformazioni sociali e culturali

Marina Wallace

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In attesa della prima edizione di ARTis, la grande festa dedicata all’arte e agli artisti, che si svolgerà a Vicenza dal 10 al 16 novembre, vi proponiamo un ciclo di interviste dedicate al tema della prima edizione: «Non c’è arte senza artista». La parola a Elena Ketra.

ARTis intende definire l’arte prima di tutto come professione, attraverso l’artista: come definisci tu l’arte a livello professionale?
Per me l’arte è un atto di responsabilità e di presenza. Significa costruire un linguaggio coerente, capace di interrogare il presente e allo stesso tempo di preservare una libertà interiore. È un lavoro che richiede studio, tempo e ascolto. Non credo nell’immagine romantica dell’artista: quella è solo narrazione, storytelling. Essere artista oggi vuol dire assumersi un ruolo concreto e responsabile, sia verso la società sia verso sé stessi, sviluppando una professionalità che si esprime anche attraverso la capacità di dialogare con mondi diversi, dall’artigianato alle tecnologie più avanzate, fino al pensiero critico. Questo confronto continuo amplia le opportunità espressive e rende il lavoro più ricco e complesso. Ad esempio, nel mio ultimo progetto «Luchadoras» porto nei luoghi normalmente adibiti all’arte un’installazione che contiene una performance collettiva dedicata alla self-defence. È un modo per restituire al corpo la sua forza originaria, per renderlo strumento di consapevolezza e autodeterminazione. In questo contesto, il gesto fisico si fa linguaggio, creando uno spazio in cui la comunità possa riconoscersi nella possibilità di difendersi, agire e affermare la propria presenza.

A livello professionale: cosa ti aiuta o ti ha aiutato di più nella tua produzione artistica?
Sicuramente l’abitudine di mettermi in discussione, di interrogarmi e osservare ciò che accade, sia a livello personale che sociale. Ogni incontro con persone, luoghi e materiali lascia una traccia nella mia ricerca, diventando parte del percorso creativo. La formazione accademica è stata un punto di partenza solido, ma ciò che davvero ha definito la mia identità artistica è stato il confronto con realtà diverse, anche all’estero, che mi hanno insegnato quanto la sperimentazione nasca spesso dalla necessità di esplorare nuovi territori, dalla contaminazione tra discipline diverse e dal superamento di convenzioni e sistemi precostituiti. C’è poi l’ironia, una componente fondamentale del mio modo di lavorare e di stare nel mondo. È uno strumento di leggerezza ma anche di disvelamento: attraverso l’ironia si possono toccare temi complessi come identità, potere, ruoli sociali, senza cadere nella retorica o nella denuncia diretta. L’ironia apre spazi di libertà, mette in crisi le certezze e permette di ribaltare i punti di vista. E' una forma di resistenza e di lucidità.

ARTis, Festival dell’Arte, offre la possibilità di dialogare di arte, coinvolgendo il pubblico generale e gli addetti ai lavori senza costrizioni commerciali. Quali sono i vantaggi di un’esperienza del genere?
Iniziative come ARTis sono fondamentali perché restituiscono all’arte il suo ruolo di spazio di confronto e di relazione autentica. In un contesto privo di dinamiche di mercato, l’artista può permettersi di mostrare la parte più personale e sperimentale del proprio percorso, e il pubblico può entrare in contatto con la dimensione più viva e processuale del fare artistico. Trovo che la libertà di scambio, senza la pressione di dover «piacere» o «funzionare», generi un dialogo più onesto. Quando il pubblico è coinvolto non come spettatore ma come interlocutore, qualcosa cambia davvero: l’opera smette di essere contemplata e diventa un’esperienza condivisa, come il suo messaggio.

A Leonardo Da Vinci è attribuita l’affermazione: «L’Arte non è mai finita. Solo abbandonata». Cosa ne pensi?
Un’opera non finisce mai davvero, non si esaurisce ma continua a vivere negli sguardi di chi la guarda, nei ricordi di chi l’ha incontrata e nei modi in cui viene reinterpretata. Per me creare è sempre un processo in movimento. Ci sono lavori su cui torno anche dopo anni, non per cambiarli, ma per guardarli con occhi diversi, con il tempo che è passato. In un certo senso, non si lascia mai del tutto un’opera, la si lascia andare, perché continui a respirare e a trasformarsi.

Il contesto dell’arte contemporanea è ben diverso da quello dell’arte del passato. Secondo te quali sono i momenti fondamentali che hanno segnato il passaggio dal passato al contemporaneo attraverso il moderno?
Credo che il passaggio al contemporaneo sia avvenuto quando l’artista ha smesso di limitarsi a rappresentare il mondo per cominciare a interrogarlo, spostando il focus dall’immagine alla domanda, dalla forma all’idea. Dal modernismo in poi, l’arte ha progressivamente messo in crisi il concetto tradizionale di opera, trasformandosi in gesto, azione, performance e relazione. Con l’arte concettuale degli anni ’60 l’importanza si è concentrata sull’idea piuttosto che sul risultato estetico o materiale. Questo ha aperto la strada a un’arte sempre più aperta, partecipata e inclusiva, in cui il processo creativo è centrale e l’opera può anche non essere un oggetto fisico. Non c’era più bisogno di un oggetto per fare arte, ma di un pensiero capace di generare esperienza. Ogni generazione ha continuato a mettere in discussione la precedente, ridefinendo linguaggi, priorità e modalità di espressione. Particolarmente significativo è stato il contributo delle artiste donne, il cui lavoro, a lungo marginalizzato o ignorato, è stato negli ultimi tempi finalmente rivalutato e riconosciuto come parte fondamentale del discorso artistico contemporaneo. Attraverso pratiche che intrecciano corpo, identità, memoria e sfera sociale, le donne artiste hanno introdotto nuovi modi di pensare e rappresentare l’esperienza umana, portando nell’arte una sensibilità capace di sfidare gli stereotipi di genere e le gerarchie culturali. 

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ARTis

Marina Wallace, 16 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

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