Alla casa della fotografia Deichtorhallen di Amburgo è aperta al pubblico, fino al 4 maggio, la mostra «High Noon: Nan Goldin, David Armstrong, Mark Morrisroe, Philip-Lorca DiCorcia». Con oltre 150 opere della collezione privata F. C. Gundlach, la selezione curata da Sabine Schnakenberg coglie uno sguardo intimo sulla vita quotidiana e la carriera dei quattro fotografi. Un’attenzione particolare è dedicata a Nan Goldin, con cui il collezionista tedesco, e fondatore di Deichtorhallen, aveva una relazione personale sfociata in un supporto diretto al lavoro dell’artista a partire dagli anni Novanta.
Ma cos’hanno in comune Goldin, Armstrong, Morrisroe e DiCorcia? Intanto, si sono tutti diplomati in fotografia alla scuola del Museo delle Belle Arti di Boston nel periodo a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, iniziando la loro carriera durante l’era politica di Reagan, il conservatorismo e l’epidemia dell’Aids. Inoltre, sono parte del movimento informale conosciuto come «Boston School of Photography», il cui lavoro racconta la scena queer underground della città.
Da un lato Goldin (nata nel 1953), Armstrong (1954-2014) e Morrisroe (1959-1989) condividono un approccio alla fotografia simile, estremamente personale, autobiografico e intuitivo, puntando l’obiettivo su sé stessi e sui propri amici (che spesso coincidevano). I tre offrono uno sguardo unico sulla quotidianità della comunità Lgbtq+ di Boston e, in seguito, di New York, le vulnerabilità, le difficoltà, la malattia, ma anche gli affetti e le amicizie, le feste e gli amori, pur con approcci visivi diversi e individuali. Morrisroe amava ad esempio sovrapporre un negativo a colori e uno in bianco e nero per creare un effetto pittorico e surreale, mentre Goldin si riconosce per le immagini intense in cui trascina lo spettatore nella propria vita, contrapponendo luci artificiali e toni caldi per creare un’atmosfera emotiva e autentica. I soggetti ritratti in bianco e nero da Armstrong evocano invece quiete e introspezione, lasciando intravedere le proprie paure e desideri con una sensibilità che richiama i fotografi del primo Novecento.
Dall’altro lato, Philip-Lorca DiCorcia (classe 1951) prende intenzionalmente le distanze dai tre, scegliendo di rappresentare delle scene costruite secondo un piano preciso e con un’evidente componente concettuale. Il risultato sono immagini a cavallo tra realtà e finzione, le cui possibilità narrative sono lasciate aperte per lo spettatore, e in cui la vita quotidiana diventa un atto teatrale. Ispirato dall’estetica delle riviste di moda, DiCorcia controlla ogni elemento delle immagini, dalle luci agli oggetti di scena che possono, a un primo sguardo, apparire casuali.