Veduta della mostra «Artenumero» al Museo Archeologico Regionale di Aosta

Foto: Stopdown-marketing e comunicazione

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Veduta della mostra «Artenumero» al Museo Archeologico Regionale di Aosta

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Ad Aosta gli artisti danno i numeri

Nel Museo Archeologico Regionale oltre sessanta opere di autori italiani e internazionali illustrano le ricerche degli ultimi sessant’anni

Che gli artisti siano dei personaggi particolari è cosa nota. Talvolta è proprio in quei lavori, spesso ermetici ma comunque affascinanti, in cui utilizzano cifre, successioni e una particolare logica, che risultano più convincenti. La mostra «Artenumero. Gli artisti e il numero tra il XX e XXI secolo» nel Museo Archeologico Regionale dal 19 giugno al 20 ottobre raggruppa oltre settanta opere di autori italiani e internazionali che hanno utilizzato variamente il «numero» come fulcro delle loro riflessioni. Nel corso della storia esso è apparso dapprima in relazione agli strumenti del mestiere e al linguaggio adottato per poi entrare, con le avanguardie storiche, all’interno dell’opera stessa da un punto di vista segnico e speculativo. Il percorso espositivo, a cura di Angela Madesani e prodotto da Nomos Edizioni, è assai eterogeneo ed è suddiviso in cinque sezioni tematiche

La prima sezione analizza il rapporto tra il numero e il tempo. Qui non può mancare il giapponese On Kawara con la serie «One Million Years», libri divisi in due parti contenenti in ordine cronologico, espressi in cifre, un milione di anni nel passato e un milione nel futuro, amara constatazione sulla brevità della vita. Di Alighiero Boetti sono dei calendari, ancora libri, cartoline e due arazzi. «Le mappe, gli arazzi sono dei giochi combinatori. In un primo momento l’artista propone delle regole, ma poi si lascia andare e per la scelta di combinazioni dei colori si affida anche alle ricamatrici che lavorano per lui in Afghanistan», scrive Madesani. Nella stessa ripartizione spiccano le opere di Elena Modorati e una grande carta di Luca Pancrazzi, «24 ore su 24» del 1999, frutto di grande pazienza e di estrema precisione. «Un minuto di fotografia» di Franco Vimercati è un lavoro costituito da più fotografie di uno stesso quadrante di orologio che svelano come ogni minimo scarto temporale determini una differenza sostanziale. 

Nell’area dedicata al numero e alla narrazione, dove si trova una «Linea» di Piero Manzoni, è esposta la «Via Crucis» (2022) laica di Elisabetta Casella, in cui la quantità di ovali di scagliola prodotti rimandano alle settimane di dolore vissute dall’artista milanese: 572. I singoli elementi (5-7-2) di questo ammontare, se sommati, restituiscono proprio le quattordici tradizionali stazioni di Cristo. Se in «Five Fives (to Donald Judd)» (1965) di Joseph Kosuth i neon con le scritte di particolari cifre determinano la forma finale dell’installazione, nei dipinti di Peter Dreher l’avvicendamento numerico (a un quadro segue l’altro) è lampante ma non dichiarato. 

La connessione tra il numero e lo spazio trova in «Twentysix Gasoline Stations» di Ed Ruscha del 1963, libro d’artista che documenta un viaggio da Los Angeles a Oklahoma City attraverso la Route 66, un caso emblematico. 

Alla quarta sezione, quella che mette in rapporto il numero con il segno e l’immagine, appartengono opere dall’estetica pop, come quelle di Ugo Nespolo e, in netto contrasto, quelle concettuali di Maurizio Nannucci e Robert Tiemann.

Nell’ultima area Bernar Venet, Mel Bochner, Laura Grisi e Vincenzo Agnetti, solo per citare qualche nome noto, rappresentano la relazione tra numero e aritmetica. Qui è presente un’installazione con una serie di Fibonacci di Mario Merz, «Piccolo caimano» in cui l’animale «richiama una dimensione lontana, per nulla domestica, che ci riporta a uno stadio primordiale, prescritturale».

«One Million Years» (1999) di On Kawara. Cortesia di Building, Milano. © On Kawara

Monica Trigona, 17 giugno 2024 | © Riproduzione riservata

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Ad Aosta gli artisti danno i numeri | Monica Trigona

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