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Barbara Antonetto
Leggi i suoi articoliIl fenomeno dell’overtourism sta dilagando velocemente e rischia di compromettere anche luoghi che non rientrano tra le mete iconiche del turismo di massa. È dunque quasi scontato lanciare un grido d’allarme per l’isola di Capri, letteralmente presa d’assalto ogni giorno da migliaia di persone, spesso irrispettose e attirate più dal luogo frequentato dai vip di tutto il mondo che dalla sua struggente bellezza paesaggistica e dal suo patrimonio artistico. Sono sempre meno i visitatori consapevoli del fatto che i gioielli dell’isola non sono quelli nelle vetrine dei brand del lusso, ma quelli artistici più o meno nascosti, come la piccola chiesa di Sant’Anna di origini bizantine, che racchiude affreschi medievali di grande bellezza, o il Museo Archeologico, magnificamente allestito all’interno della Certosa di San Giacomo e parte dell’ente Musei e Parchi archeologici di Capri che, costituitosi poco più di un anno fa, dipende direttamente dal Ministero.
Capri deve difendere la sua identità di cenacolo culturale e letterario, quello che negli anni Quaranta si riuniva nella villa di Curzio Malaparte costruita nel 1938-40 da Adalberto Libera su Punta Masullo: tra gli altri il pittore Raffaele Castello, il giornalista e saggista Vittorio Gorresio, la storica dell’arte Palma Bucarelli, gli scrittori Paolo Monelli, Elsa Morante e Alberto Moravia.
Seguì la stagione degli Amici di Capri che, nati nel 1970, «si adoperavano per accrescere le occasioni di incontro tra la bellezza e l’intelligenza», come amava dire Graziella Lonardi Buontempo, strenua animatrice di una stagione di seminari, mostre, cinema, teatro e incontri letterari che ha confermato il ruolo di Capri come centro culturale e intellettuale, oasi per artisti, letterati e poeti. A Graziella Lonardi Buontempo, grande mecenate dell’arte contemporanea, fondatrice degli Incontri Internazionali d’Arte in Palazzo Taverna a Roma e promotrice di mostre epocali, e ad Alberto Moravia si deve l’istituzione nel 1983 del Premio Malaparte, uno dei più importanti riconoscimenti letterari per personalità internazionali, di cui tra l’83 e il ’98 si tennero 14 edizioni.
Dopo una pausa di 13 anni, nel 2012, il Premio è risorto grazie all’impegno e alla passione di Gabriella Buontempo, nipote di Graziella e segretario generale dell’associazione Incontri Internazionali d’Arte, e al sostegno di Ferrarelle Società Benefit, sponsor unico dell’iniziativa, in cui crede con contagiosa passione il giovane Michele Pontecorvo Ricciardi, presidente di Fondazione Ferrarelle Ets e presidente regionale Fai Campania: «È un impegno che va oltre la letteratura: promuovere la cultura significa infatti proteggere l’identità dell’isola, oggi messa a rischio da un turismo sempre più invasivo. È una responsabilità che vivo con orgoglio perché valorizzare letteratura, paesaggio e comunità vuol dire custodire ciò che rende Capri un patrimonio unico a livello internazionale. Mi hanno cresciuto con la convinzione che un’azienda non sia una generatrice di profitto per gli azionisti, ma debba necessariamente essere il fulcro di processi di sviluppo socioeconomico per il territorio. Capri è un amore grande, dove sono cresciuto, dov’è cresciuto mio padre, ma Capri è anche un grande dolore, quando viene maltrattata e abusata da orde ignobili, che affollano i mari e le stradine con i loro rumori, i loro rifiuti, la loro maleducazione. Il Malaparte è un weekend di amore per i libri, ma soprattutto un germoglio di grande qualità che ci permette di restituire all’isola un po’ della sua dignità».

Una veduta all’interno della Certosa di San Giacomo sull’isola di Capri
La seconda stagione del Premio Malaparte è arrivata ad avere 14 edizioni, lo stesso numero della prima, e il 5 ottobre ha festeggiato questo traguardo, come di consueto nello splendido scenario della Chiesa della Certosa di San Giacomo, conferendo il riconoscimento a un autore spagnolo particolarmente amato nel nostro Paese da quando, nel 2017, Ugo Guanda ha tradotto Patria, romanzo ambientato nei Paesi Baschi ai tempi degli attentati dell’Eta che ha avuto un successo planetario (è stato tradotto in 34 lingue): Fernando Aramburu è stato scelto all’unanimità dalla giuria composta da Leonardo Colombati, Giordano Bruno Guerri, Giuseppe Merlino, Silvio Perrella, Emanuele Trevi e Marina Valensise.
Per la locandina della XXIV edizione Gabriella Buontempo ha scelto Uli Weber, fotografo di fama internazionale nato a Ulm, in Germania, e formatosi a Roma. L’immagine è tratta dal suo sesto libro, Il Mezzogiorno, appena pubblicato da Electa, e raffigura una piccola casa abbarbicata alla strada di un promontorio a picco sul mare. La scelta in connessione con Capri è particolarmente densa di significato e sembra un invito ad apprezzare le piccole cose senza farsi distrarre dal lusso. Il dialogo arte e letteratura è una peculiarità del Premio Malaparte fin dalla prima edizione, 42 anni fa: con la sua locandina si sono cimentati tra gli altri Vettor Pisani, Michelangelo Pistoletto, Mimmo Paladino, Enzo Cucchi, Giulio Turcato, Luigi Ontani, Mario Schifano, Carla Accardi e Renato Guttuso.
Tra i vincitori del Premio Malaparte ci sono stati Anthony Burgess, Saul Bellow, John Le Carré, Antonia Susa Byatt, Susan Sontag, Isabel Allende, Emmanuel Carrère, Julian Barnes, Donna Tartt, Han Kang, Colm Tóibín, Amin Maalouf, Yasmin Reza, Daniel Mendelsohn, Benjamín Labatut. «Sono quindi più che onorato, sono emozionato di un riconoscimento così prestigioso e dell’affetto che mi sta tributando l’Italia, ha dichiarato Aramburu, ricordando che la cultura è ciò che ci distanzia dal primate, ciò che ci dà la facoltà di diventare tolleranti. È importate che si esprimano gli intellettuali: altrimenti chi parla? I politici? la gente sui social? Non per niente gli intellettuali sono i primi ad essere azzittiti dalle dittature. Quando ero adolescente sono stato testimone di una violenza e ho fatto una scelta aiutato dall’ascolto di una voce improntata alla calma. La mia opinione è che uno scrittore debba essere indipendente, non debba allinearsi a un’ideologia, altrimenti tutto è politica. Io ammiro quegli scrittori che offrono una descrizione della vita umana da una prospettiva personale».

Una veduta del Museo Archeologico di Capri
La letteratura può avere una valenza sociale? «Non penso, per averla dovrebbe essere un fenomeno di massa ma, se tocca le coscienze, ha comunque una ripercussione sociale». Perché scrive? «Perché sento una fascinazione per l’essere umano. Il mio proposito è quello di descrivere la natura umana attraverso personaggi che restituiscano la sua complessità. Sono un grande osservatore: scandaglio le persone ai raggi X e registro tutto, perfino il loro odore. Il mio scopo è rubare a ciascuno la sua storia privata, il suo romanzo intimo. Questa capacità di osservazione mi viene dall’infanzia, quando mi costringevano ad andare a messa. Mi annoiavo mortalmente e allora mi sedevo negli ultimi banchi e osservavo i parrocchiani, contavo quanti erano calvi, quanti biondi, quanti con le orecchie grandi; poi ho iniziato a inventarmi delle storie che li mettessero in relazione. Non sono un esperto di storia, non mi interessa raccontare dei fatti storici, mi interessa raccontare le persone, come reagiscono a fatti tragici, alla morte, ai problemi coniugali, alla malattia, alle difficoltà economiche».
Lei ha affrontato generi letterari molto diversi. I suoi ultimi racconti (Ultima notte da poveri, Guanda, Parma 2025) sono molto diversi, anche stilisticamente, dai romanzi. Perché? «È come se alle grucce del mio armadio ci fossero abiti differenti che indosso a seconda del genere letterario che intendo affrontare. Quando mi accingo a scrivere un romanzo ho un piano definito in ogni dettaglio, i racconti mi vengono di getto, assalgono la mia testa senza che conosca neppure il finale. Il mio sogno di ragazzo era scrivere la migliore opera letteraria possibile. Non tradirò mai quel sogno ed è per questo motivo che non ho lasciato che il successo di Patria gettasse un’ombra sulla mia scrivania condizionando i miei lavori successivi. Se avessi scritto Patria 2 sarei stato più ricco, ma non mi interessa essere un autore di bestseller. Quando lavoro tengo tre cactus davanti a me perché mi sembrano tre teste e mi servono a ricordare che scrivo per il lettore e che un giorno mi sono detto: ragazzo i tuoi testi potranno essere migliori o peggiori, ricchi o poveri di talento, ma arriverai a loro attraverso due sole strade per te irrinunciabili: l’assoluta cura della forma e la volontà di depositare nelle tue affermazioni quello che il tuo cuore ospita. Avrai sempre la possibilità di optare per il silenzio, è un tuo diritto. Ma se scegli di esprimerti, pur attingendo l’immaginazione, non fingerai, non ricorrerai all’impostazione, non cadrai nella bassezza di mentire a te stesso. Niente di quanto ho espresso finora sarebbe stato possibile se la mia scrittura o la mia vita fossero state minacciate. La paura e l’istinto di conservazione avrebbero condizionato il mio comportamento, come è successo a molti in passato e come continua a succedere ai giorni nostri ad altri in certe zone del Pianeta. C’è un’abissale differenza tra l’essere scrittore in un Paese europeo dei giorni nostri ed esserlo stato ai tempi in cui visse colui cui è intitolato il premio. La parte di dittatura che ho conosciuto, circoscritta ai primi sedici anni della mia vita, è stata precedente la mia condizione di scrittore. Morto il dittatore, la libertà d’espressione garantita dallo Stato di Diritto ha raggiunto punte sconosciute per la società spagnola, con l’unica eccezione, disgraziatamente, del terrorismo nella mia terra basca, che ha rivolto per tanto tempo la propria crudeltà contro i giornalisti e qualche scrittore. Credo che proprio per questa ragione abbia barattato la mia vocazione poetica iniziale per quella di romanziere che si è proposto di tracciare le linee di un disegno narrativo della propria epoca e delle persone che la abitano, pur rappresentandole con un pugno di personaggi. Ricordo a tale riguardo un’affermazione dello scrittore russo Gorki che asseriva di preferire quei libri “che ci insegnano a capire il senso della vita, le aspirazioni degli uomini, le ragioni delle loro azioni”. Ritengo che questa frase definisca esattamente ciò che guida le mie mani quando scrivono».

Un momento durante la cerimonia di premiazione del Premio Malaparte, 2025
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