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Alexandre Crochet
Leggi i suoi articoliCon la morte, il 19 aprile scorso a 90 anni, di Guy Ullens scompare un collezionista fuori dal comune e iconoclasta. Una forza della natura che fino a tarda età nuotava ogni giorno per chilometri e chilometri, fino a sfinire i suoi compagni di nuotate, e trascorreva il suo tempo viaggiando (fino a 16 viaggi di andata e ritorno in Cina nel 2019, a oltre 85 anni!). Con un’insaziabile curiosità per le tendenze e i nuovi territori sia nel mondo degli affari sia in quello dell’arte.
Lo scorso novembre, a Paris Photo, aveva ancora fatto acquisti: nel settore dedicato al digitale aveva comprato un’opera di Katie Morris, una composizione realizzata a partire da una veduta di Google Earth rielaborata da un programma sviluppato con l’Intelligenza Artificiale. Guy Ullens non è mai stato prigioniero di ciò che ci si sarebbe aspettato dal contesto sociale in cui era cresciuto. Il barone e uomo d’affari belga, ma nato a San Francisco, nel 1935, la cui famiglia aveva fatto fortuna con lo zucchero prima che lui si orientasse verso l'agroalimentare, divideva il suo tempo tra Verbier in Svizzera, il Belgio e la Francia, che amava molto. «Ha avuto una vita estremamente piena. L'arte era la sua vita: un'arte di vivere, una pratica quotidiana, riassume il curatore della mostra Jérôme Neutres Viveva con le sue opere, le staccava dalle pareti, ne appendeva altre e non amava nulla più che incontrare e sostenere gli artisti. Ha collezionato senza sosta per sei decenni, dal 1960, fin dalla sua giovinezza, fino al 2024»,
Dal 2019 era amministratore e curatore della Fondazione Guy e Myriam Ullens, al centro dell’ultima sua grande passione: l’arte digitale. L’ultimo grande viaggio all’estero, a novembre 2024, ha portato Ullens a Riad, in Arabia Saudita. La mostra inaugurale del Diriyah Art Futures presentava la sua collezione di «Computing Art», che spazia dalle figure storiche degli anni ’60 ad oggi, da Vera Molnar a Refik Anadol, John Gerrard o Ryoji Ikeda. «Lo affascinavano questi artisti alla ricerca di nuovi territori, sottolinea Neutres. Non bisogna dimenticare che Guy Ullens aveva studiato a Stanford, negli Stati Uniti, l’università culla dell’Intelligenza Artificiale, ed è cresciuto in una generazione che condivideva la stessa visione ottimistica dello sviluppo scientifico e di ciò che esso poteva apportare all'arte». Una passione che senza dubbio lo ha aiutato a sopravvivere alle tragedie familiari degli ultimi anni, tra cui l'assassinio della sua ultima moglie, Myriam «Mimi» Ullens, due anni fa per mano del figlio.
Se negli anni ’60, guidato dalla gallerista Denise René, sposava già la creazione del suo tempo con l’arte cinetica, è due decenni più tardi che si distinguerà davvero. Guy Ullens guarda alla Cina, «in un contesto molto complicato. È stato uno dei pochi a capire l'avvento di una nuova generazione di artisti negli anni ’80 nel Regno di Mezzo”, confida Jérôme Sans. Ben prima che il mercato si infiammasse per questi artisti negli anni 2000 Ullens ha sempre amato circondarsi dei migliori specialisti. Come l’esperto di arte cinese contemporanea Jean-Marc Decrop, che ha svolto un ruolo centrale nella costituzione della sua collezione insieme a Johnson Chang, direttore della Hanart TZ Gallery (nel 2002 all'Espace Cardin di Parigi hanno cocurato la mostra della collezione Ullens «Paris-Pékin»)
Non contento di aver messo insieme una collezione molto vasta (che avrebbe poi venduto all'asta o donato a musei e collezioni), insieme alla moglie Myriam, Guy Ullens si è dedicato alla creazione di un luogo permanente in Cina dove esporre il lavoro degli artisti: l’Ucca-Ullens Center for Contemporary Art, inaugurato a Pechino nel 2007, primo spazio privato del Paese dedicato all’arte contemporanea. «Avrebbe potuto facilmente ottenere il riconoscimento dei suoi pari aprendo una fondazione in Svizzera o in Belgio, scegliendo artisti già approvati dall’élite, ma ha preferito essere visionario e restituire alla Cina il suo posto nel mondo dell’arte, spiega Jérôme Sans, primo direttore dell’istituzione, oggi guidata da Philip Tinari. Nonostante i pareri di chi voleva dissuaderlo dall’aprire uno spazio in Cina, lui ha tenuto duro. Voleva offrire alla Cina uno strumento di un nuovo genere, un luogo che gradualmente sarebbe diventato cinese».
Da Pechino la struttura si è poi espansa con l’Ucca Dune sul mare, l’Ucca Edge a Shanghai e infine l’Ucca Clay a Yixing, centro dedicato alla ceramica. Luoghi che ospitano mostre di artisti occidentali e asiatici, da Yan Pei-Ming a Olafur Eliasson.
Pur essendosene progressivamente allontanato, Guy Ullens ha mantenuto fino alla fine della sua vita i legami con l’Ucca, che tra l'altro continuerà a portare il suo nome. Mecenate di diverse fondazioni che gestiscono, tra l'altro, un orfanotrofio e una scuola in Nepal, progettata da Rem Koolhaas, collezionava anche artisti indiani, americani della giovane scena di Los Angeles, o ancora Rashid Johnson, Thomas Houseago, Pascale Marthine Tayou. «Aveva gusti molto eclettici perché acquistava con gli occhi ciò che lo colpiva, e non con le orecchie. Il punto in comune di tutti questi artisti? Erano inventori di forme che hanno tutti cercato di proporre un nuovo stile, se non addirittura una nuova pratica», riassume Jérôme Neutres. Un avventuriero alla ricerca di inventori.
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