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Addio a Ornella Vanoni, voce indimenticabile della canzone italiana

Con la sua morte, la cultura italiana perde una delle sue presenze più piene, più libere, più umane. Resta però un patrimonio di canzoni che continuano a vibrare, filmati che restituiscono una donna capace di emozionare anche solo entrando in una stanza, momenti televisivi entrati nell’immaginario nazionale, e soprattutto un’idea di arte come atto di autenticità

Lavinia Trivulzio

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Addio a Ornella Vanoni, aveva 91 anni. La cantante ha avuto un malore nella sua casa di Milano poco prima delle 23.00 del 21 novembre 2025. Con lei scompare non solo una delle voci più riconoscibili della musica italiana, ma un intero modo di abitare la scena, di attraversare la vita pubblica, di trasformare fragilità e ironia in un’arte alta, sempre in bilico tra confessione e teatro. Aveva attraversato più di sei decenni di cultura italiana: protagonista della canzone, del cinema, del teatro, della televisione, e soprattutto di quell’immaginario sentimentale collettivo che lei stessa aveva contribuito a costruire. La sua voce è stata, più di tutto, il suo lascito. Un timbro che non imitava nessuno e che nessuno è mai riuscito a imitare davvero. Con quella voce Vanoni ha reso popolare una nuova idea di interprete: sofisticata, elegante, a tratti distante, eppure capace di un’intimità quasi disarmante. È stata tra le prime a portare nella canzone italiana una sensibilità jazz, una modernità internazionale, una libertà interpretativa che avrebbe aperto la strada a generazioni successive.

«Sono una donna libera. Non mi sono mai lasciata imbrigliare da niente e da nessuno. E ho pagato tutto con gli interessi»

Nata a Milano, formatasi alla scuola del Piccolo Teatro con Strehler, Vanoni aveva cominciato come attrice drammatica, ma era stata la musica a offrirle il linguaggio con cui sarebbe diventata davvero sé stessa. Negli anni ’60 la sua immagine di “cantante della mala” le aveva costruito attorno un’aura di mistero e trasgressione, che lei però aveva sempre decostruito con una naturalezza spiazzante, quasi con divertita incredulità. Ha attraversato i decenni lasciando un segno in ognuno: dagli arrangiamenti lirici degli anni ’70 alle svolte più pop degli anni ’80, fino alla grazia crepuscolare della maturità. E non ha mai smesso di cercare, di cambiare, di accettare le proprie metamorfosi. Anche quando il corpo si indeboliva, la voce è rimasta un territorio libero, capace di sorprendere.

L’ultimo decennio l’ha consacrata come icona pop trasversale. La sua presenza sui social aveva conquistato una nuova generazione che la vedeva come un modello di libertà, fragilità, indipendenza, anticonformismo. Il suo rapporto con il tempo, con la femminilità, con l’età è diventato un esempio raro di come si possa invecchiare rimanendo profondamente contemporanei. Vanoni non era solo una cantante: era un modo di essere. La sua leggerezza era costruita su una profondità che non ha mai ostentato. In un paese che spesso mette gli artisti in scatole rigide, lei ha sempre rifiutato di essere una categoria: né diva compiaciuta, né intellettuale distaccata, né semplicemente “interprete”. Ornella Vanoni era Ornella Vanoni, e questo bastava.

Con la sua morte, la cultura italiana perde una delle sue presenze più piene, più libere, più umane. Resta però un patrimonio di canzoni che continuano a vibrare, filmati che restituiscono una donna capace di emozionare anche solo entrando in una stanza, momenti televisivi entrati nell’immaginario nazionale, e soprattutto un’idea di arte come atto di autenticità. Certe presenze non scompaiono: restano, si ascoltano, come un’eco che non smette di tornare.

Lavinia Trivulzio, 21 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

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