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«Apoteosi della guerra» (1871) di Vasilij Vereshchagin, Mosca, Galleria Tretjakov. Fonte Google Art Project

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«Apoteosi della guerra» (1871) di Vasilij Vereshchagin, Mosca, Galleria Tretjakov. Fonte Google Art Project

Addio all’arte contemporanea in Russia

La 9a Biennale di Mosca in programma alla Galleria Tretjakov è stata chiusa dalle autorità prima dell’inaugurazione, prevista per il 7 novembre. Dall’inizio della guerra sono decine le mostre annullate

Konstantin Akinsha

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La 9a Biennale d'arte di Mosca, «La scenografia dei sentimenti», sarebbe stata inaugurata alla Galleria Tretjakov il 7 novembre se il Ministero della Cultura non l’avesse cancellata tre giorni prima del vernissage. Nel comunicato diffuso dal Ministero si legge che: «La Galleria Tretjakov è un tesoro dell’arte russa. Il desiderio di ospitare un progetto proprio in questo luogo anziché in una sede privata o aziendale deve accompagnarsi alla responsabilità nei confronti del contesto artistico ed etico della mostra. Ciò richiede il rispetto sia per l’unicità della collezione museale della Galleria Tretjakov sia per i suoi numerosi estimatori, i cittadini del nostro Paese».

Il caso della Biennale è tutt’altro che un’eccezione. Dall’invasione russa dell’Ucraina, il 24 febbraio, i funzionari del Ministero hanno vietato decine di mostre di arte contemporanea, introducendo anche un nuovo sistema di censura. Se prima il permesso di esporre si basava sulla valutazione delle opere selezionate per una mostra, ora gli organizzatori devono consultare le liste nere degli artisti «indesiderati», le cui opere, a prescindere dal loro contenuto, non possono essere mostrate in pubblico.

La Galleria Tretjakov ha già vissuto l’esperienza della censura. Il 19 aprile la mostra «Cambio di scena» di Grisha Bruskin è stata chiusa subito dopo l’apertura, all’apparenza per «problemi tecnici», ma in realtà a causa di presunte lamentele da parte di patriottici visitatori . Per gli stessi misteriosi «motivi tecnici» il 30 aprile è saltata anche l’inaugurazione di «Ingresso nella Porta Rossa», con opere di Michail Roginskij, Ilya Kabakov, Viktor Pivovarov e altri. La mostra è stata rinviata all’11 giugno e reintitolata «Un oggetto, uno spazio, un uomo», facendo sorgere la domanda se fosse stato cambiato solo il titolo o anche il contenuto della mostra.

Il caso della 9a Biennale di Mosca non è che che l’ennesimo tassello nel martirologio delle mostre censurate e chiuse quest’anno. La sua cancellazione rappresenta un nuovo stadio qualitativo nell’evoluzione della censura russa perché, ironia della sorte, gli organizzatori di «La scenografia dei sentimenti» avevano seriamente cercato di esporre arte contemporanea al servizio della propaganda putiniana.

La dichiarazione non firmata, pubblicata online dopo la cancellazione, cita solo i partecipanti alla mostra e Michail Piotrovskij, direttore del Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo e membro del consiglio di esperti della Biennale. Il nome del curatore non è mai stato reso noto.

A differenza dei funzionari del Ministero della Cultura, Piotrovskij si è detto soddisfatto della qualità artistica delle opere selezionate. Secondo una sua dichiarazione, riportata dagli organizzatori, «la Russia ha avuto un ruolo immenso nello sviluppo dell’arte del Novecento; la Biennale di Mosca è un’opportunità per il XXI secolo». Un’opportunità che è stata data alle opere di 27 artisti russi; volutamente,  l’invito non è stato esteso a partecipanti stranieri.

Tra le opere selezionate figurano l’installazione «Memoria» di Sergei Bugaev, artista di San Pietroburgo più noto con lo pseudonimo Afrika, dedicata ai monumenti di guerra sovietici distrutti nei «Paesi europei». L’artista moscovita Tatiana Badina presentava delle magliette bianche da bambini nei cui taschini aveva inserito delle preghiere per proteggere i soldati in guerra.

Anastasia Deineka e Adelina Shabanova, giovani artiste provenienti dalle regioni di Donetsk e Lugansk, appena annesse, hanno impresso un accento particolare alla Biennale. Deineka, appartenente al gruppo artistico «Giovane Repubblica», ha contribuito a dipingere un murale a Donetsk raffigurante il sadico signore della guerra Arsen Pavlov, detto Motorola, e sovrastato dallo slogan «Conosci i nostri!». Nella sedicente Repubblica Popolare di Donetsk, Motorola, accusato di crimini di guerra e fatto saltare in aria nel 2016 nell’ascensore di casa sua, è stato elevato al rango di eroe.

Un altro elemento curioso caratterizzava la Biennale annullata. Nonostante proclamasse di presentare solo artisti russi vi figurava anche un’opera di Antoon van Dyck: a detta degli organizzatori, il ritratto dell’apostolo Pietro dipinto dall'artista fiammingo stava a simboleggiare la «luce eterna della grande arte». La scorsa estate l’effigie dell’apostolo era stata esposta con grande clamore nel museo d’arte di Nizhnii Novgorod; si tratta, in realtà, di una variante della nota tela dell’Ermitage appartenenete a un imprenditore locale, Dmitrii Volodin. Quest’ultimo ha dichiarato che il viaggio del dipinto alla volta di Nizhnii Novgorod è durato ben sette anni; la polizia francese avrebbe infatti confiscato l’opera, obbligando Volodin a imbarcarsi in una lunga causa per riaverla.

La tela era stata messa all’asta da Christie's New York nel gennaio 2009 con la modesta attribuzione «After Sir Anthony van Dyck» e una stima di 10mila-15mila dollari. Prima della seconda guerra mondiale si riteneva che fosse opera di mano di Van Dyck. Il dipinto, appartenuto al banchiere olandese-tedesco Hugo Kaufmann morto ad Auschwitz nel 1942, era stato scelto dallo storico dell’arte Hans Posse per il Führermuseum voluto da Hitler a Linz. Il «San Pietro» tornò nei Paesi Bassi dopo la guerra, ma è stato restituito agli eredi del banchiere solo nel 2007: il dipinto, quindi, non è tanto un simbolo della «luce eterna della grande arte» quanto dell’eterna oscurità della storia europea.

Rimane aperta la questione di come l’arte russa possa riflettere gli eventi di questa guerra. Una soluzione potrebbe essere che le scuole d’arte russe conservatrici, come l’Accademia di San Pietroburgo, che ancora formano pittori realisti, producano tele monumentali raffiguranti l’eroica difesa di Kherson nella tradizione dei dipinti di storia dell’Ottocento di Tretjakov. Al Ministero piacerebbero sicuramente, ma la storia non sarà così gentile.
 

«Apoteosi della guerra» (1871) di Vasilij Vereshchagin, Mosca, Galleria Tretjakov. Fonte Google Art Project

Konstantin Akinsha, 08 novembre 2022 | © Riproduzione riservata

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