«Una passeggiata nella storia della fotografia per ripercorrere le grandi conquiste del mezzo: il fissaggio dell'immagine, l'istantaneità e il colore»: il curatore Sam Stourdzé presenta così la mostra «Voir le temps en couleurs. Les défis de la photographie», ospitata al Centre Pompidou di Metz fino al 18 novembre. Oltre 250 immagini di 50 autori, dai pionieri del XIX secolo agli artisti contemporanei, in una connessione inedita e originale raccontano come gli sviluppi tecnologici spesso precedano, o addirittura inneschino, tutte le principali rivoluzioni estetiche della fotografia.
Nella prima sezione, se Constantin Brâncuși (1876-1957) fra il 1920 e il ’40 a Parigi ritrae le proprie sculture per offrirne centinaia di interpretazioni diverse, stravolgendo la funzione di riproducibilità propria del mezzo, i carboni di Achille Ferrario (1848-1914), in prestito dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (Iccd) di Roma, documentano il Cenacolo Vinciano in previsione del celebre restauro del 1903 e dialogano con le sperimentazioni di Dove Allouche (1972) che preleva e ingigantisce fino a un milione di volte il campione di un dipinto.
I confini del nuovo «vedere» si ampliano e toccano il campo dell’infinitamente grande con le vedute montuose dei fratelli Bisson (1814-1876 e 1826-1900) che sviluppano le lastre direttamente in vetta, le immagini lunari e stellari dei fratelli Henry (1848-1905 e 1849-1903), fino a quelle della Nasa realizzate un secolo più tardi.
Registrando su un’unica superficie una serie di immagini scattate al millesimo di secondo, Étienne-Jules Marey (1830-1904) nel 1882 inventa la cronofotografia, e il movimento cessa così di essere un ostacolo al vedere. Ma è il nuovo flash stroboscopico dell’ingegnere elettrico Harold Edgerton (1903-90) che immortala la goccia di latte nell’attimo esatto in cui tocca la superficie, a segnare la seconda grande conquista del mezzo: controllare l’istante per incapsulare il tempo.
Terza e ultima sfida, anche il colore è il risultato di pionieristiche sperimentazioni di scienziati (ed) artisti. Dal primo test ottenuto nel 1877 da Louis Ducos du Hauron (1837-1920) con il metodo indiretto della tricromia, agli sviluppi di Gabriel Lippmann (1845-1921) che gli valsero il Nobel per la Fisica nel 1908. Dalle lastre autocromatiche inventate dai fratelli Lumière e scelte dal banchiere e mecenate Albert Kahn (1860-1940) per documentare il mondo in trasformazione nei suoi «Archivi del pianeta», fino alle grandi tinte piatte e monocromatiche con cui Saul Leiter (1923-2013) eleva il colore a stile fotografico in sé, anticipando la «Scuola di New York» che negli anni Settanta con Helen Levitt (1913-2009), Joel Meyerowitz (1938) e Stephen Shore (1947) decreta la fine del bianco e nero come standard di riferimento e avvia una nuova era della fotografia.