Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Luigi Pellegrin, Masterplan Aree FS, Programma di intervento per la riqualificazione e il riuso del patrimonio ferroviario, Roma 1993. Sezione

Courtesy Fondazione MaXXI, Roma, Collezione MaXXI Architettura e Design contemporaneo, Archivio Luigi Pellegrin

Image

Luigi Pellegrin, Masterplan Aree FS, Programma di intervento per la riqualificazione e il riuso del patrimonio ferroviario, Roma 1993. Sezione

Courtesy Fondazione MaXXI, Roma, Collezione MaXXI Architettura e Design contemporaneo, Archivio Luigi Pellegrin

Al MaXXI, la Roma visionaria di Luigi Pellegrin

La mostra dedicata all’architetto italiano è organizzata su un doppio registro: da un lato l’attività professionale, dall’altro un percorso artistico, composto da disegni di grandi dimensioni, suggestioni oniriche e macrostrutture pensate per ridefinire il territorio

Gianfranco Ferroni

Leggi i suoi articoli

Al MaXXI, «Luigi Pellegrin. Prefigurazioni per Roma», curata da Sergio Bianchi e Angela Parente e visibile fino al 6 aprile 2026, è un prezioso omaggio a un architetto visionario nel centenario della sua nascita. Viene offerta una retrospettiva sintetica, presentando al pubblico una selezione dei materiali del suo archivio conservato in collezioni private e nel Centro Archivi Architettura. La sua è stata una figura particolare nella storia dell’architettura italiana, ben raccontata nella biografia inserita nella Treccani, firmata da Roberto Dulio: «Nacque il 21 aprile 1925 a Courcelette (Somme), da Paolo, falegname e carpentiere di origini friulane, che si era trasferito in Francia per lavoro, e da Brigida Fornasier. Alla fine degli anni Venti la famiglia rientrò in Italia: il padre trovò occupazione a Roma nella costruzione del complesso religioso del Buon Pastore (1929-34), progettato dall’architetto Armando Brasini. Il giovanissimo Pellegrin accompagnò spesso il genitore sul cantiere del monumentale edificio baroccheggiante che stava sorgendo nella periferia romana, la cui attrattiva finì probabilmente per contribuire alla decisione di compiere gli studi di architettura, intrapresi immediatamente dopo la fine della Grande Guerra». 

Terminata la Seconda guerra mondiale, «nel 1946 Luigi Pellegrin si iscrisse così alla facoltà di architettura di Roma, dove fu allievo di Mario De Renzi, Enrico Del Debbio, Vincenzo Fasolo, Arnaldo Foschini, Saverio Muratori, Pier Luigi Nervi, Marcello Piacentini. Si laureò nel 1953, dopo una serie di brevi interruzioni degli studi, e nello stesso anno si trasferì negli Stati Uniti, a New Orleans, dove lavorò per l’architetto William R. Burk, specializzato nella progettazione di edifici scolastici. Con uno dei giovani collaboratori di Burk, James Lamantia, conosciuto probabilmente in Italia (dove quest’ultimo aveva beneficiato di una borsa Fulbright nel 1949)». Poi l’amicizia con Bruno Zevi, «infaticabile animatore dell’Associazione per l’architettura organica (Apao)». con una «iniziale ed esplicita adesione al linguaggio wrightiano, seppure autonomamente rielaborato, come negli Uffici postali di Saronno e di Suzzara (1958)». Quindi il matrimonio con Luciana Menozzi, anche lei architetto, e la partecipazione a tanti concorsi, come quello del 1967 per i nuovi uffici della Camera dei Deputati a Roma. Senza dimenticare l’impegno accademico e didattico: nel 1971 arriva la cattedra di Composizione architettonica presso l’Università La Sapienza di Roma. 

E la mostra evidenzia il «doppio registro» della sua produzione: da un lato l’attività professionale, dall’altro un percorso artistico, composto da disegni di grandi dimensioni, suggestioni oniriche e macrostrutture pensate per ridefinire il territorio. Visioni fantastiche che non nascondono le concrete possibilità di applicazione, con particolare attenzione ai lavori sviluppati da Pellegrin per la città di Roma negli anni Novanta. Una ricerca che lo porta a immaginare interventi per il Giubileo del 2000 e a lavorare sulle aree ferroviarie, prefigurando connessioni infrastrutturali e sviluppi urbani che, a distanza di venticinque anni, risultano ancora attuali e per molti tratti futuribili. 

Il fondo Luigi Pellegrin, ceduto in comodato nel 2017 da Bianchi, testimonia l’approccio integrato dell’autore, tra plastici e disegni tecnici, e modelli e invenzioni fantastiche. E la mostra restituisce questa duplicità, mostrando un’architettura capace di modellare nuovi spazi urbani e, parallelamente, un immaginario visionario in continua evoluzione. I suoi progetti sollevati e le megastrutture culminano con l’ideazione dell’anello equatoriale (1986), mentre negli anni Novanta Roma diventa il suo laboratorio urbano prediletto: Circo Massimo, Appia Antica, Eur, Ostiense e l’anello ferroviario per il Giubileo 2000 mostrano come le sue visioni conservano ancora oggi una sorprendente attualità, nel nome del rapporto tra architettura, città e territorio. Bianchi sottolinea che Pellegrin ha visto nella Capitale il suo centro di riferimento, perché «Roma è una delle sue radici. E il disegno è una delle sue radici, che usa per indagare la realtà e immaginare un habitat diverso, un mondo diverso per la sua città».

Gianfranco Ferroni, 18 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

Al MaXXI, la Roma visionaria di Luigi Pellegrin | Gianfranco Ferroni

Al MaXXI, la Roma visionaria di Luigi Pellegrin | Gianfranco Ferroni