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David Landau
Leggi i suoi articoli«Ver Sacrum» prende il suo nome da un rito italico, poi in parte assorbito nei culti dell’antica Roma, basato sull’usanza di allontanare dal villaggio tutti i giovani nati in primavera, al raggiungimento della maggiore età, come offerta alla divinità a cui erano stati promessi. Per scongiurare un evento nefasto con la loro partenza – simbolico sacrificio che sostituiva quello più tragico della vita – i prescelti si allontanavano dal conosciuto per andare verso l’ignoto, le nuove terre dove si sarebbero insediati. L’evento si ammantava di una forte connotazione etica poiché permetteva alla popolazione di rinnovarsi e di mescolarsi con altre genti. La rivista della Secessione viennese si proponeva, quindi, come il manifesto di un allontanamento e insieme auspicio di rinascita e di emancipazione − il motto del Sezessionstil era, non a caso, proprio «Al tempo la sua arte. All’arte la sua libertà». Essa fu il principale organo di diffusione sia dell’idea che sottende i principi dell’arte totale, Gesamtkunstwerk, sia della promozione degli artisti che la fondarono e, via via numerosi, vi aderirono, avendo suo nucleo attivatore a Vienna ma espandendosi da subito in tutti i paesi europei coinvolti nei movimenti modernisti e simbolisti. Si impose per la sua capacità di rileggere correnti del passato e tradizioni arcaiche in una spinta verso la reinterpretazione dell’arte cosiddetta maggiore, così come delle arti minori, poste sullo stesso piano a imitazione dell’Arts and Crafts inglese di William Morris, che sarà germinale per la ben nota Wiener Werkstätte, e delle correnti preraffaelite.
La novità di «Ver Sacrum» deve essere interpretata anche nella sua impostazione tipografica che integra, e supera, l’Aesthetic Movement inglese per generare una compatta struttura capace di fondere coerentemente l’architettura della pagina, i testi e infine l’apparato illustrativo, valorizzando lo stile e la poetica dei vari artisti − la cui importanza è palese – mantenendo però il principio sostanziale di preferire la regia al talento dei singoli attori. Come nella nuova architettura di Olbrich, il decoro − il confronto tra decorazione e illustrazione era già stato punto saliente nella discussione nata intorno al Simbolismo −, diventa strutturale, la pagina di «Ver Sacrum» pare reggersi proprio su questo ornamento, il quale si fa soggetto stesso della ricerca grafica. La pagina della rivista talvolta fa uso della purezza di campiture vuote e ascetiche, talaltra si innalza sui capilettera, sulle cornici, affollata dai decori giapponisti, da forme che sembrano germinare dalla natura o reinterpretare la tradizione dell’arte popolare, riscoprendo i gioielli egizi, i vasi ellenistici e le semplici geometrie della pittura romana. Seminale fu la scoperta della grafica e dell’artigianato giapponese, in grado di condensare sintetismo e perfezione estetica a partire dalle più semplici forme di oggetti di uso quotidiano, fino alla xilografia policroma: per sottolineare questo forte legame, in mostra saranno esposti lacche, suppellettili, volumi e incisioni sciolte provenienti da collezioni private e, soprattutto, dall’importante patrimonio posseduto dal Museo d’Arte Orientale – Collezione Mazzocchi di Coccaglio.
Senza dimenticare la derivazione dalla ricerca di normalità del gusto Biedermeier e dalla solidità metafisica della cultura austro-ungarica, «Ver Sacrum» si ingentilisce con le influenze neobizantine, tratte dai mosaici ravennati che affascinarono Gustav Klimt, si arricchisce con la rilettura del mito di Arnold Böcklin, il misticismo solitario delle figure femminili e delle montagne di Giovanni Segantini, con la revisione klingeriana del mediterraneo. Nulla meglio che sfogliare le pagine della rivista permette di comprendere quale fu l’impatto che la Secessione ebbe sull’arte a lei contemporanea: a un primitivo nucleo di artisti viennesi e di area mitteleuropea si unirono, via via, numerose personalità provenienti da paesi, culture e correnti diversissime tra loro, avvicinate solamente dal desiderio di proporre un’arte nuova che non negasse però la tradizione, che ne facesse tesoro attraverso la formulazione di una moderata avanguardia. La rivista, che aveva una forte connotazione letteraria, non dimentica le arti performative: Vienna fin de siècle è un continuo caleidoscopio, una eterna rappresentazione. In questa geniale rivisitazione che la Secessione propone, il teatro ha un ruolo importante: ambito che scardina le convenzioni borghesi, ma anche luogo delle sperimentazioni delle forme. Gli artisti di «Ver Sacrum» lavorano per spettacoli, cabaret, balli in maschera, si ispirano al Burgtheater e alle canzonettiste, disegnano manifesti e progettano sale e scene, creando un universo di segni complesso. La Secessione viennese, e di conseguenza «Ver Sacrum», sono l’elemento aggregatore capace di demolire non solo la differenza tra le arti maggiori e le arti minori, ma anche i pregiudizi, le differenze sociali e la distanza tra le correnti artistiche. Non è difficile comprendere come la rivista, in un primo tempo chiaramente influenzata da un tardo Art Nouveau, raccolse, come una valanga che travolge tutto, il Simbolismo belga, il Divisionismo di marca segantiniana, il decorativismo giapponista, l’impressionismo, il tardo preraffaelismo inglese, e non ultimo il dirompente modernismo scozzese della Scuola di Glasgow. Questa fuga verso il futuro – che non disconosce il valore fondante della Mitteleuropa e della prossima cultura slava e neppure dimentica l’apporto delle forme mediterranee spesso presenti nei disegni e nei progetti degli architetti e dei designer coinvolti nella redazione – fece di «Ver Sacrum» il più influente periodico, da un punto di vista visuale, della sua epoca, risultando esempio da copiare anche in altri contesti − si ricordino solo «L’Eroica» e «Novissima» per l’Italia −, e punto di partenza, molti anni dopo, per l’olandese «Wendingen» e per la rivista razionalista «Campo Grafico».
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