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Giovanni Pellinghelli del Monticello
Leggi i suoi articoliDal 29 luglio al 1 novembre 2025 il Museo dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, nel ciclo «Caring for Art. Restauri in mostra», presenta il cosiddetto Frammento Vaticano, unico resto del ciclo di pitture murali che Giotto realizzò nel primo quarto del XIV secolo nell’antica Basilica di San Pietro in Vaticano. Eccezionale testimonianza dell’attività romana di Giotto, è porzione di pittura murale staccata, attualmente in supporto in gesso, con due figure di santi a lungo erroneamente identificate con san Pietro e san Paolo. La storia del lacerto è segnata dalla stratificazione di materie e memorie.
L’antica Basilica di San Pietro, eretta nei primi secoli del Cristianesimo, fu progressivamente demolita a partire dal XVI secolo per far posto al progetto di Bramante e Michelangelo. Il frammento è l’unica testimonianza materiale della decorazione murale trecentesca affidata a Giotto che, tramandata nelle fonti, sopravvisse per il suo valore devozionale Un’iscrizione sul retro ricorda come, nel 1610, l’opera sia stata donata da Pietro Strozzi, Canonico della Basilica Vaticana e segretario di papa Paolo V Borghese, a Matteo Caccini, che lo espose al culto nel 1625.
Dalla mostra «Giotto, l’Italia» (nel Palazzo Reale di Milano) nel 2015 emerse l’urgenza di un restauro che chiarisse anche gli aspetti tecnici e stilistici. Iniziato nel 2016 dall’Opificio delle Pietre Dure, l’intervento ha curato la rimozione di ridipinture e patine sovrapposte nei secoli, che avevano compromesso la leggibilità della pittura originaria, portando alla luce stesure delicate e finissime: soprattutto negli incarnati, modellati con piccoli tocchi di pigmento (ocre e ossidi) su una base verdaccio, i tratti dei volti invece marcati da decisi segni neri e rossi. Questa modalità esecutiva, riconoscibile e coerente con le tecniche giottesche, ha permesso di confermare l’attribuzione diretta al maestro stesso e di inserire con certezza il lacerto nel corpus delle opere giottesche, rapportandola ad altre opere della Basilica Inferiore di Assisi, il Polittico Stefaneschi o il Santo Stefano del Museo Horne di Firenze.
Scrive Serena Romano nella presentazione del restauro: «Nella storia dell’arte medievale […questo è ] un miracolo di storia, di conservazione, di tradizione […che] restituisce alla conoscenza pubblica quello che si può definire un grande inedito pittorico di Giotto e un concentrato di vicende storiche eccezionali, ed eccezionalmente documentate».

Giotto, Due teste di apostoli o santi (cosiddetto «Frammento Vaticano»), 1515-20 ca, Collezione privata, dopo il restauro, recto

Giotto, Due teste di apostoli o santi (cosiddetto «Frammento Vaticano»), 1515-20, Collezione privata, dopo il restauro: particolare del volto del santo di destra

Giotto, Due teste di apostoli o santi (cosiddetto «Frammento Vaticano»), Collezione privata, dopo il restauro, verso
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