Il principio della «tipologia», nato tra il XVII e il XVIII secolo in botanica per classificare e studiare le piante, fu ulteriormente sviluppato in fotografia sin dall’inizio del Novecento, affermatosi in particolare in quella tedesca nel corso del XX secolo. È da qui che Fondazione Prada prende spunto per «Typologien: Photography in 20th-Century Germany» che, dal 3 aprile al 14 luglio, mette a confronto artisti di diverse generazioni attivi in Germania per analogie inaspettate nei singoli approcci. Il progetto, ospitato nel Podium, è curato da Susanne Pfeffer, storica dell’arte e direttrice del Museum Mmk Für Moderne Kunst di Francoforte.
Il percorso espositivo non segue pertanto un ordine cronologico, ma riunisce oltre 600 opere di 25 artisti affermati e meno noti, come Bernd e Hilla Becher, Sibylle Bergemann, Karl Blossfeldt, Ursula Böhmer, Christian Borchert, Margit Emmrich, Hans-Peter Feldmann, Isa Genzken, Andreas Gursky, Candida Höfer, Lotte Jacobi, Jochen Lempert, Simone Nieweg, Sigmar Polke, Gerhard Richter, Heinrich Riebesehl, Thomas Ruff, August Sander, Ursula Schulz-Dornburg, Thomas Struth, Wolfgang Tillmans, Rosemarie Trockel, Umbo e Marianne Wex.
«Solo attraverso l’accostamento e il confronto diretto è possibile scoprire cos’è individuale e cos’è universale, normativo o reale, afferma la curatrice. Le differenze attestano la ricchezza della natura e dell’immaginazione umana: la felce, la mucca, l’essere umano, l’orecchio, la fermata dell’autobus, il serbatoio dell’acqua, l’impianto stereo, il museo. Il confronto tipologico lascia emergere differenze e somiglianze e coglie le specificità. Aspetti finora sconosciuti o ignorati della natura, degli animali o degli oggetti, dei luoghi e del tempo diventano visibili e riconoscibili».
All’inizio del Novecento, Karl Blossfeldt (1865-1932) è tra i primi a applicare alla fotografia il sistema di classificazione degli studi botanici, dando vita a un vero e proprio atlante vegetale. Un’altra figura chiave è August Sander (1876-1964) che nel 1929 pubblica il suo libro Antlitz der Zeit, un estratto del suo progetto seminale Menschen des 20. Jahrhunderts, e descritto da Walter Benjamin come un «atlante di formazione» della percezione fisiognomica. Alla fine degli anni Cinquanta, le immagini di Blossfeldt e Sander sono alla base del progetto di Bernd Becher (1931-2007) e Hilla Becher (1934-2015) di documentazione e conservazione dell’architettura industriale. La coppia si rivela riferimento per gli artisti post-minimalisti e concettuali americani ed europei, nonché i fotografi tedeschi delle generazioni successive, fra i quali Gursky (1955), Höfer (1944), Nieweg (1962), Ruff (1958) e Struth (1954). Hans-Peter Feldmann (1941-2023) nei suoi lavori elabora tipologie personali e politiche adottando un approccio simile all’istantanea e scegliendo un’estetica commerciale. Gerhard Richter (1932) al contrario, spinge al limite il principio dell’equivalenza tra le immagini e il loro processo di banalizzazione, dando vita a uno stridente contrasto e un’acuta presa di coscienza della repressione della memoria collettiva. Negli anni Settanta e Ottanta, Gursky, Höfer, Ruff e Struth esplorano l’irruzione colorata dell’ordinario dando vita a una pluralità di tipologie contemporanee in contrasto tra loro. A cavallo tra i due decenni, Isa Genzken (1948) crea «Hi-Fi», una serie fotografica in cui presenta pubblicità di dispositivi stereo giapponesi all’avanguardia organizzati in un immaginario catalogo commerciale, mentre in «Ohr» (1980) ritrae le orecchie di donne sconosciute che cattura nelle strade di New York.
In occasione della mostra, l’istituzione milanese pubblica un catalogo progettato da Zak Group, che include un’introduzione di Miuccia Prada, presidente e direttrice di Fondazione Prada, un testo di Pfeffer e tre saggi di storici dell’arte e curatori internazionali come Benjamin Buchloh, Tom Holert e Renée Mussai.
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Thomas Struth «Musée du Louvre IV, Paris 1989». © Thomas Struth. Cortesia di Zkm | Center for Art and Media Karlsruhe, Karlsruhe