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«La Natività» (primi anni Ottanta del Quattrocento) di Piero della Francesca prima e dopo il restauro © The National Gallery

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«La Natività» (primi anni Ottanta del Quattrocento) di Piero della Francesca prima e dopo il restauro © The National Gallery

Alla National Gallery di Londra è tornata dopo un restauro di 15 mesi la «Natività» di Piero della Francesca

L’intervento durato 15 mesi ha svelato nuovi dettagli dell’opera, che non risulta affatto incompiuta

Alison Cole

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Un nuovo restauro della «Natività» (primi anni Ottanta del Quattrocento) di Piero della Francesca nella National Gallery di Londra ha risolto un mistero di lunga data: il dipinto non è incompiuto, come si è creduto per molto tempo. L’interpretazione fornita dal museo londinese è che l’opera rappresenti invece una profonda e commovente visione della nascita di Cristo, vista attraverso gli occhi della santa e mistica del Trecento Brigida di Svezia. Il dipinto è tornato in mostra dal primo dicembre, dopo un accurato intervento nei laboratori del museo durato 15 mesi.

La «Natività» è uno dei capolavori più amati della National Gallery, per molte ragioni: per la grazia raffinata e l’eloquenza delle figure, per la ricca morbidezza e luminosità dei colori (dipinti con la nuova e raffinata tecnica ad olio), per l’equilibrio e l’armonia supremi, per la forza spirituale e narrativa, e per la sua combinazione di solenne grandezza e rustica semplicità.

La Vergine Maria è umilmente inginocchiata su un promontorio roccioso in adorazione del Bambino, che giace nudo a terra davanti a lei (a proteggerlo dal contatto con la nuda terra è un lembo del manto azzurro della Madonna). Le braccine di Gesù Bambino si protendono verso di lei, come nella visione di santa Brigida, mentre gli angeli intonano un accompagnamento musicale polifonico. Alle loro spalle il terreno sfuma per condurre lo sguardo verso l’ondulato paesaggio di Borgo Sansepolcro, paese natale di Piero. Testimoni di questa visione: due pastori, l’anziano san Giuseppe, un bue e un asinello. E proprio a questa qualità visionaria si è attribuita una nuova dimensione rivelatrice.

La mano del tempo e i restauratori arroganti
Prima di approfondire l’argomento val la pena accennare alle vicissitudini conservative del dipinto e alla sua ricca documentazione. In primo luogo, non si tratta di una piccola pala d’altare come un tempo si credeva. Da documenti del 1500, del 1514 e del 1515 si apprende che l’opera (124,4x122,6 cm) era appesa nella camera da letto del palazzo di famiglia di Piero, come dipinto devozionale destinato alla contemplazione privata. Finita al centro di una disputa familiare, nel 1515, venne valutata molto bene e, a differenza di altre due opere, non risultava incompiuta. La «Natività» rimase nella famiglia del pittore fino al 1825, quando passò a un parente a Firenze. A quel punto era già in cattivo stato e deturpata da ridipinture.

Nel 1861 Charles Eastlake, primo direttore della National Gallery, vide l’opera e se ne invaghì, ma i suoi tentativi di acquistarla furono frustrati dal collezionista Alexander Barker, responsabile in seguito di pesanti restauri. Quando, nel 1874, la National Gallery acquistò finalmente la «Natività», la tavola era fessurata, la superficie dipinta presentava macchie diffuse e i pastori erano stati sottoposti a una pulizia abrasiva che ne aveva consumato le immagini fino al disegno sottostante. Ciononostante il museo pagò una cifra enorme per il dipinto (2.415 sterline, quasi il doppio di quanto aveva pagato nello stesso periodo per il «Marte e Venere» di Botticelli).

Il primo ministro Benjamin Disraeli fu costretto a difendere l’acquisto in Parlamento, in risposta a un’interrogazione che citava una lettera del «Times» in cui il connoisseur e curatore John Charles Robinson affermava che «il dipinto in questione, essendo ormai un rudere rovinato oltre ogni limite, è stato tutto ridipinto». (Robinson in seguito divenne «Surveyor of the Queen’s Pictures»; fu lui inoltre a vendere il «Salvator Mundi» a Francis Cook). Disraeli dal canto suo rispose che «si congratulava con il Paese per aver acquisito... un dipinto dal carattere di massima rarità e interesse, e che a mio avviso aggiungerà bellezza e valore alla Collezione Nazionale».

Quando, nel 1884, il dipinto fu restaurato le condizioni in cui versava scioccarono i funzionari della galleria. Un pesante supporto, progettato per tenere insieme il pannello, fu rimosso nel 1949, ma un successivo restauro del 1950 fu troppo interventista e il dipinto dava segno di essere fragilissimo. Nel 1950 ci si concentrò in particolare sulle cadute di colore, tralasciando invece di intervenire sugli eccessi della pulitura precedente, che, tra l’altro, aveva quasi del tutto cancellato le teste dei pastori.

A Jill Dunkerton, restauratrice senior della National Gallery, è toccato il compito straordinariamente impegnativo ma altrettanto appagante di restaurare la pala. La strada percorsa dalla restauratrice ha riportato il dipinto a quanto di più simile al suo aspetto originario, pur riducendo al minimo gli interventi. I colori sono adesso ben più di una rivelazione. Il dipinto incarna, essenzialmente, la musica celeste prodotta dal coro angelico e dai musicisti (santa Brigida udiva un canto di «miracolosa dolcezza e bellezza»), e le vesti degli angeli, nei loro toni sfumati dal bianco-azzurro al rosa-blu, compongono accordi cromatici.

Rivelazioni
A riservare una delle scoperte più piacevoli e sorprendenti del restauro è stata una delle parti forse meno rilevanti del dipinto, ovvero le piccole pietre grigie della stalla alle spalle delle figure. Qui, il ritocco della vernice abrasa ha rivelato in un punto un angolino in cui le pietre sono più chiare: da un buco nel tetto di paglia filtra infatti un fascio di luce (parte dell’interpretazione personale e originalissima di Piero di un elemento importante della visione di santa Brigida). È questo che il pastore ci indica, invitandoci ad essere noi stessi testimoni della luce. L’assenza di ombre nel dipinto, in precedenza interpretata come un elemento della sua incompiutezza, può ora essere letta come un’amplificazione di quest’aspetto visionario.

E gli stessi pastori non erano affatto incompiuti, ma solo, osserva Dunkerton, «orrendamente abrasi da una pulizia troppo drastica». Per fortuna si conserva ancora il «bellissimo disegno sottostante di Piero» e la restauratrice ha ridipinto parzialmente le figure, velando sottilmente le linee del disegno, senza rifinirle troppo con congetture successive. Ora i pastori, nei loro pigmenti terrosi, si allontanano proprio come dovrebbero.

Le lacune restanti sono state corrette con pennellini minuscoli e precisi, e a differenza degli interventi del passato la pittura si è ricostituita «piano, piano, piano». La rivelazione più grande è stato vedere come l’intero dipinto si riunificasse, palesando ancora una volta il magistrale gioco di luce, colore e spazio. Dunkerton ha particolarmente apprezzato la cura con cui Piero ha bilanciato la composizione e il modo in cui ha corretto i propri errori (ad esempio ridipingendo il corno del bue, che cozzava con il collo del liuto dell’angelo) al fine di rendere l’opera più leggibile e comprensibile. Anche la gazza, appollaiata sul tetto della stalla, è fondamentale per fissare la composizione.

La restauratrice è infine giunta alla conclusione che il dipinto debba essere appeso all’altezza delle spalle, come lo sarebbe stato nella camera da letto del palazzo di Piero. Questo consente all’intero paesaggio, dallo scarno primo piano inclinato al lontano paesaggio umanizzato, di occupare miracolosamente  un enorme spazio pittorico e psicologico.

«La Natività» (primi anni Ottanta del Quattrocento) di Piero della Francesca prima e dopo il restauro © The National Gallery

Alison Cole, 13 dicembre 2022 | © Riproduzione riservata

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