Olga Gambari
Leggi i suoi articoliDopo Constable, la Reggia della Venaria rende omaggio a un altro gran- de paesaggista inglese, Joseph Mallord William Turner (1775-1851). In collaborazione con la Tate UK, la mostra «Turner. Paesaggi della Mitologia», a cura di Anne Lyles, attraverso quaranta opere presenta i due temi fondamentali della ricerca dell’artista, il paesaggio e la mitologia classica greca e romana. Un’idea di paesaggio dove si mescolano cielo, terra e mare, un sentire ancora connotato dallo struggimento eroico e drammatico del sublime romantico che convive con una sensorialità che smaterializza l’immagine in maniera rivoluzionaria, anticipando gli impressionisti.
La mostra è composta da maestosi dipinti a olio su tela, frutto di una formazione avvenuta alla Royal Academy, ma anche con lo studio delle opere degli antichi maestri alla National Gallery di Londra e dei dipinti di Richard Wilson, che influenzò Turner spingendolo a realizzare due fondamentali viaggi in Italia, come dimostrano alcuni paesaggi e rovine italiane che fanno da sfondo a scene mitologiche, ad esempio «Il golfo di Baia con Apollo e la Sibilla» (1823). Nelle opere giganteggia la natura in tempesta, albe e tramonti che incendiano, nebbie e piogge che trasfigurano il paesaggio con sentimenti estremi. Insieme, il mito che vive in battaglie tra eroi e mostri e nelle le storie d’amore di Ovidio, Virgilio e di altri autori classici.
Pranzare da re
La Reggia ospita anche un’altra mostra, «Sovrani a tavola. Pranzi imbanditi nelle corti italiane» (come per Turner, fino al 28 gennaio 2024), un viaggio a corte attraverso i secoli, dai banchetti del Cinque e Seicento sino ai pranzi Ottocenteschi del Quirinale sabaudo. Sguardi tra arte, storia e cultura materiale che schiudono la vita quotidiana delle corti italiane. I curatori Andrea Merlotti, Silvia Ghisotti, Clara Goria e Lorenzo Greppi raccontano le tavole reali nella loro rappresentazione simbolica e nelle loro pratiche quotidiane, in collaborazione con le più importanti ex residenze reali d’Italia.
Da sempre fa parte dell’immaginario comune domandarsi come si mangi alle tavole dei re, eppure questo tema raramente è stato trattato nella storia dell’arte, e quando è accaduto le raffigurazioni hanno mostrato re, papi e principi in posture formali, espressione di potere e magnificenza, mai nell’atto di mangiare realmente. Il percorso si apre con il quadro «Il pranzo degli Asburgo» (1599), un anonimo fiammingo che dipinse un pranzo mai accaduto, allegoria del dominio degli Asburgo sulle Fiandre, dove i commensali sono membri di tre generazioni reali.
Un ritratto dettagliato delle cucine di corte lo fornisce il dipinto «Insegna dell’arte dei cuochi» (1738) del veneto Gasparre Diziani, che mostra quelle del doge di Venezia Alvise Pisani. Costituiscono un vero trattato di botanica le grandi tele che il granduca Cosimo III commissionò al pittore Bartolomeo Bimbi per il suo casino della Topaia in Toscana. E molti i servizi di porcellana, tra le manifatture di Sèvres, Meissen, F&C Osler e Real Fabbrica Ferdinandea, e gli argenti, come quelli prodotti dall’Orfèvrerie Royale diretta da Giovan Battista Boucheron. Se alle tavole rinascimentali partecipavano anche cortigiani e intellettuali, il pranzo divenne un momento intimo con i Savoia e gli Asburgo-Lorena nel Settecento, riservando i grandi pranzi per occasioni pubbliche, come nel «Convito nuziale di Elisabetta Farnese a Parma» (1717-21) ritratto dallo Spolverini. Poi raccolte di caricature e di menù. Quanti significati in una tavola apparecchiata.
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