Ogni giorno, come artista, portare avanti la ricerca e la pratica; ogni giorno, come donna, portare avanti la lotta femminista per il riconoscimento dei diritti propri e di tutte le donne, quelle vicine e quelle lontane. Quelle donne che sono state rinchiuse per millenni nel luogo della casa con i ruoli di figlie, mogli e madri, e che ora, invece, si oppongono alla posizione femminile subalterna e rivendicano la loro emancipazione. Clemen Parrocchetti (Milano, 1923-2016) ha ancorato nel cuore della quotidianità domestica la pratica artistica e la militanza politica. La mostra «Clemen Parrocchetti-À jour», nell’Ar/Ge Kunst Galleria Museo di Bolzano fino al 15 febbraio 2025, ne racconta il percorso, concentrandosi sugli anni Sessanta e Settanta come momento detonante di questa figura ribelle, in una selezione di opere curata dalle direttrici del Kunstverein Francesca Verga e Zasha Colah (anche curatrice della Biennale di Berlino del 2025), insieme a Marco Scotini (direttore dell’Archivio Parrocchetti a Borgo Adorno).
Il titolo «À jour» gioca con il termine francese per sottolineare proprio l’attività quotidiana che impegnava Clemen Parrocchetti, quell’orlo «a giorno» ripetuto simbolicamente fino all’ossessione punto dopo punto, giorno dopo giorno, per tutta la vita. Una costanza che è anche metafora sia del lavoro domestico, sempre identico a sé stesso nelle ritualità della cura della casa e della famiglia, sia della battaglia per il superamento delle barriere che ostacolano l’autodeterminazione femminile. La mostra è uno spaccato vitale della sua produzione prolifica ed esuberante, che utilizzava i materiali umili della realtà casalinga per realizzare sculture a tutto tondo così come a rilievo su lastre metalliche, e poi collage, insieme alla pittura e al disegno, a ricami su carte e stoffe. Opere e azioni che Parrocchetti realizzò dagli anni Cinquanta, in un’attività individuale ma anche nei collettivi di cui fece parte, nomi storici del femminismo, soprattutto il Gruppo Immagine di Varese, nel quale entrò nel 1978 e con cui partecipò alla Biennale di Venezia dello stesso anno, aderendo alla Campagna internazionale per il salario al lavoro domestico promossa dal Collettivo Internazionale Femminista fondato a Padova da teoriche tra cui Silvia Federici, Mariarosa Dalla Costa e Leopoldina Fortunati.
In mostra sono esposte le «Divorazioni», grandi dipinti colorati dalla figurazione grottesca che parlano di un corpo femminile smembrato, poi sculture morbide in cui stoffe, fili e rocchetti, aghi e utensili da cucina danno forma a bocche e organi genitali femminili. Ma anche alcune installazioni della serie «Barriere», opere che, su telai in legno a forma di triangolo rovesciato, visualizzano la condizione di oppressione spesso invisibile subita dalla donna all’interno del rifugio-prigione della casa, con impedimenti pratici e sentimentali. Insieme, moltissimi disegni, come quelli che appartengono alla serie di opere che Parrocchetti dedicò alla figura di Ulrike Meinhof (1934-76), pioniera nel dedicarsi alla società marginale e al disagio sociale, giornalista, rivoluzionaria e terrorista tedesca, tra le fondatrici del gruppo armato R.A.F., conosciuto anche come Banda Baader-Meinhof. La mostra è un ritratto personale che fa scoprire un nome importante dell’arte contemporanea, e, con lei, pezzi di storie comuni da riscoprire.