«Hagia Sophia» (2024) di Antonio Marchetti Lamera

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«Hagia Sophia» (2024) di Antonio Marchetti Lamera

Antonio Marchetti Lamera in viaggio tra Istanbul e Calvino

Alla Fondazione Pascali sono esposte le visioni aurorali della città turca che l’artista bergamasco ha realizzato ripensando al Cavaliere inesistente

«È questa animazione interna, questo irraggiarsi del visibile, che il pittore cerca sotto il nome di profondità, spazio, colore». Queste parole del filosofo francese Maurice Merleau-Ponty che più di ogni altro si è interrogato sui principi della visione, delineano con precisione il lavoro di Antonio Marchetti Lamera. L’artista bergamasco, che vive nel piccolo comune di Torre Pallavicina, ha sempre utilizzato la pittura e il disegno come strumenti per rilevare le tracce imponderabili delle cose, ciò che costituisce enigma e sfugge a una nitida rappresentazione. I suoi lavori più noti sono infatti dedicati all’ombra (li ha presentati in una recente esposizione allo Studio La Città di Verona), intesa come progressiva variante del mondo fenomenico secondo una logica di progressivo ribaltamento rispetto alla visione tradizionale.

Nella mostra ideata per la Fondazione Pascali di Polignano a Mare, Marchetti Lamera indaga un’esperienza liminale, ovvero l’emergere delle cose dal buio nell’attimo crepuscolare che le consegna alla luce identificando quel lento passaggio dove l’oscurità si dirada e tutto rimane sospeso. «Breathed on by lights / Soffiato dalla luce», come recita poeticamente il titolo della mostra aperta fino al 19 gennaio per la cura di Neylan Bağcıoğlu İzgi, prende spunto da un’espressione utilizzata da Italo Calvino nel suo romanzo Il cavaliere inesistente, nel quale lo scrittore descrive l’attimo «in cui gli oggetti perdono la consistenza d’ombra che li accompagna durante la notte e riacquistano gradualmente colore, attraversando un limbo incerto, appena sfiorati, soffiati dalla luce».

Marchetti Lamera dedica la nuova serie di lavori alla città di Istanbul, creando un dialogo sottile tra Oriente e Occidente. I suoi lavori, dai colori cangianti e minimali, fissano sulla tela l’apparizione della luce lasciando intravedere in filigrana le architetture millenarie della città turca. Non c’è nulla di descrittivo e l’artista prende spunto dai suoi scatti fotografici per prosciugarli sino a farli diventare bagliori momentanei che creano intorno allo spettatore un’aura di mistero. Come accade per la sequenza delle sette piccole tele di 30x30 centimetri che danno vita a un’unica opera, «Rainbow stairs», in cui l’artista descrive lo stesso luogo in istanti differenti lasciandosi suggestionare dai fulgori che s’insinuano nelle architetture, modificandole. Sono opere fluide nella quale l’astrazione non è fine a sé stessa, ma prende spunto dalla concretezza fisica degli elementi che diventano improvvisamente baluginanti e fantasmatici.

Di notevole suggestione appare anche «Hagia Sophia», dedicata a uno dei luoghi di culto più simbolici della città, la moschea di Santa Sofia che per molti secoli fu consacrata al culto cristiano. Marchetti Lamera sintetizza la sua visione in un tondo che ricorda una luna piena in cui il colore saturato, quasi monocromatico, è lo strumento per catturare la luce che entra dalle vetrate e a seconda della sua intensità crea continue interferenze. L’artista coglie la presenza della quarta dimensione, il tempo, che lascia la propria traccia sugli oggetti della moschea sino a renderli irriconoscibili nella loro perenne metamorfosi in un viaggio verso l’inafferrabile che costituisce il filo rosso dell’intera mostra.

«Rainbow Stairs» (2024) di Antonio Marchetti Lamera

Alberto Fiz, 14 gennaio 2025 | © Riproduzione riservata

Antonio Marchetti Lamera in viaggio tra Istanbul e Calvino | Alberto Fiz

Antonio Marchetti Lamera in viaggio tra Istanbul e Calvino | Alberto Fiz