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Stefano Luppi
Leggi i suoi articoliLa grandezza di Pablo Picasso (Malaga, Spagna, 1881-Mougins, Francia, 1973) può forse essere riassunta, in pochi termini, in quel suo innato atteggiamento prensile di «appropriarsi» della cultura visiva di molte epoche e luoghi, rielaborandola con le sue mani e sinapsi. Certamente, però, neppure lo spagnolo ha sviluppato la propria produzione artistica sotto il vuoto spinto e un buon esempio di quanto abbiano inciso in lui la profonda influenza delle origini e delle tradizioni familiari, nonché l’impatto con la cultura fenicia, romana e araba che ebbe sempre negli anni dell’infanzia, è rappresentato dalla mostra «L’altro Picasso. Ritorno alle origini», dal 21 giugno al 19 ottobre al Museo Archeologico Regionale (catalogo Silvana Editoriale).
Attraverso le molte decine di pezzi selezionati i curatori Helena Alonso, J. Óscar Carrascosa e Daria Jorioz hanno analizzato le radici della vena creativa picassiana, approfondendo numerosi aspetti della lunga vita artistica dell’autore spagnolo, spaziando dall’analisi di tecniche quali la ceramica, l’incisione e il design scenografico fino ad approfondimenti legati alla poesia, al rapporto con fotografi del suo tempo, ai legami con l’Italia, la letteratura e il teatro.
Partiamo proprio dalla ceramica, che inizia con continuità a sperimentare nella pratica dal 1947, a 66 anni, dopo l’incontro con Suzanne Ramié presso l’atelier Madoura, ma il cui «assorbimento» avviene a Malaga grazie al padre José Ruiz Blasco, professore di disegno: ai primi del ’900, infatti, l’artista men che adolescente lavora con l’orafo e ceramista Francisco Paco Durrio de Madrón (1868-1940) e successivamente con Jean van Dongen (1883-1970). Alla morte Picasso lasciò una collezione ceramica di oltre 3mila pezzi, prodotti fino al 1971 e caratterizzata da una comunione con le forme di espressione più primitive della tradizione mediterranea: ne sono un esempio «Vaso con decorazioni pastello» (1953), «Yan bandeau noir» (1963) e «Volto di donna» degli ultimi anni.
Sempre a contatto con le donne della famiglia a Malaga, dunque entro i dieci anni di vita, il futuro artista introiettò anche la musica tradizionale spagnola, la cucina, il mondo dei tori il cui interesse lo accompagnerà per l’intera esistenza tanto che l’animale divenne il suo alter ego legati a potenza fisica ed erotismo, ma anche il teatro, i classici greci e romani e ovviamente la pittura del tempo, tutte influenze poi determinanti della costituzione della sua poetica. La mostra dà conto di tutto ciò, ad esempio con le migliori creazioni nel campo dell’incisione, come la serie «Il capolavoro sconosciuto», la «Suite Vollard» del 1934, «La sepoltura del conte di Orgaz», le scenografie per il balletto «Il cappello a tre punte» andato in scena per la prima volta all’Alhambra Theatre di Londra nel 1919 con libretto di Pedro Antonio de Alarcón. La mostra è stata prodotta da Expona, con la collaborazione di c2c e Contemporanea Progetti e ha ottenuto il patrocinio dell’Ambasciata di Spagna a Roma.

Pablo Picasso, «Minotauro cieco guidato da una giovane con una colomba II», 1934, incisione della «Suite Vollard», collezione privata. © Succession Picasso, by SIAE 2025