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Restauratori all'opera in un laboratorio dell'Opificio delle Pietre Dure

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Restauratori all'opera in un laboratorio dell'Opificio delle Pietre Dure

Arriva l'albo dei restauratori, con i settori professionali di competenza

Il commento di Giorgio Bonsanti per il compimento di un percorso pluridecennale

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Giorgio Bonsanti

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«Dobbiamo esserci vicini», avevo scritto nel mio «Aperto per Restauri» dello scorso mese. A che cosa? Alla pubblicazione, accessibile a tutti, dell’elenco definitivo dei restauratori accreditati come tali 1) a seguito del curriculum delle passate esperienze di lavoro, ovvero, 2), in quanto laureati o diplomati in un percorso di laurea magistrale secondo quanto disposto dal Decreto Legge 87 del 26 maggio 2009.

Da adesso in poi, soltanto a loro, ricordo, compete a termini di legge l’esecuzione di restauri alle opere tutelate dalle varie normative sui beni culturali, in primo luogo quelle di proprietà pubblica o di enti e istituti legalmente riconosciuti.

Ed ecco che lo scorcio finale del 2018 ha offerto proprio questo. Il direttore generale Educazione e Ricerca del Mibac, l’architetto Francesco Scoppola, ha firmato il 21 dicembre il decreto di approvazione dell’elenco integrato dei restauratori di beni culturali, con i rispettivi settori professionali di competenza, secondo l’articolo 182 del Codice Urbani (quindi, secondo il curriculum); mentre il 28 dicembre ha firmato quello di nomina dei laureati e diplomati da diciassette Istituti, cominciando con quelli di alta formazione e studio del Mibac, Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario (Icrcpal), Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro (Iscr), Opificio delle Pietre Dure (Opd) e proseguendo con Università e Accademie pubbliche e private.

Facciamo allora un po’ di conti. I restauratori della prima categoria sono circa 6.623, numero stimato perché, perdonatemi, non li ho contati tutti, ma sono andato a braccio contando le pagine e il numero di restauratori presenti in media in ciascuna di esse. Da aggiungere: 28 Icrcpal, 51 Iscr, 19 Opd, più un totale di 547 diplomati o laureati da Accademie e Università pubbliche e private (più di tutti, 109, all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli), ma avverto di non esser riuscito ad aprire, dal link del Mibac, i siti dell’Università di Roma Tor Vergata, dell’Accademia di Belle Arti di Palermo e di quella di Verona. Ovviamente, si abbia presente, dopo il 2009.

Si arriva così a un totale di almeno 7.268. Anche i cosiddetti collaboratori-restauratori (il titolo corrisponde a una laurea breve, o triennale), il cui elenco era stato pubblicato nel gennaio 2017, quanto a numeri non scherzano: il solito calcolo per approssimazione porta a un totale di 11.134. Ogni nominativo porta con sé l’indicazione dei settori disciplinari nei quali è specializzato, in numero di dodici, come li ha stabiliti la legge del 14 gennaio 2013 n. 7, raddoppiando i sei determinati nel Decreto Legge 87 del 2009 citato sopra (e così, per esempio, si separano giustamente le strumentazioni scientifiche dagli strumenti musicali).

Non ho chiaro, certamente per insufficienza mia, se e come sarebbe consentito in futuro aggiungere altre specializzazioni a quelle ufficializzate in prima istanza. Ugualmente, se e come sarebbe possibile in futuro per i collaboratori-restauratori promuoversi a restauratori.

Comunque, concludendo, quello d’oggi è certamente un momento epocale. Gli elenchi possono essere più comunemente definiti «albi», anche se non sarebbe del tutto proprio; ma si fa per capirsi. L’intera operazione nel suo complesso potrebbe essere definita altresì come una sanatoria; una parola pittoresca ma antipatica, e che ovviamente non rende giustizia ai tantissimi restauratori di grandissima professionalità, la maggioranza, contenuti nell’elenco. Serve però a far capire che le Commissioni incaricate di vagliare le domande, corredate di curricula spesso non facili da sintetizzare, difficilmente avranno potuto esaminarle ognuna singolarmente, altrimenti ci sarebbero voluti decenni. Sostanzialmente si è trattato (io ho fatto parte della Commissione per i collaboratori-restauratori) di raggruppare, per quanto possibile, esperienze e qualifiche affini secondo categorie, ed eseguire approfondimenti a campione.

Se qualcuno me lo domandasse, dovrei rispondere che nell’elenco ci stanno anche inevitabilmente persone che non lo meritano; ma non mi sembra rilevante. L’importante era portare a compimento un percorso pluridecennale, e poi è difficile che da situazioni lasciate incancrenire troppo a lungo nascano risultati ineccepibili. Da oggi, quindi, «fondamenta nuove», parafrasando Venezia; si pone soltanto il problema non trascurabile di far sì che queste migliaia di professionisti siano messi in condizione di svolgere il loro lavoro e confermare le loro competenze. Pensiamoci un po’ su e vediamo se ci viene in mente qualcosa.

Restauratori all'opera in un laboratorio dell'Opificio delle Pietre Dure

Giorgio Bonsanti, 06 febbraio 2019 | © Riproduzione riservata

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