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Dettaglio del «Compianto sul Cristo morto» (1300-49) del Maestro di Figline durante una fase del restauro

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Dettaglio del «Compianto sul Cristo morto» (1300-49) del Maestro di Figline durante una fase del restauro

Quasi un secolo di teorie del restauro

Orietta Rossi Pinelli ripercorre le principali tappe di come sono cambiate le regole dalla Carta di Atene del 1931 ad oggi

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Giorgio Bonsanti

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La Carta di Atene è un documento emesso a seguito di un convegno internazionale tenutosi nel 1931, ed è il punto di partenza scelto da Orietta Rossi Pinelli per articolare il suo pregevole studio Le teorie del restauro dalla Carta di Atene a oggi. E qui si innesta un primo elemento di riflessione, perché le Carte del restauro nascono in linea di principio con finalità pratiche e si propongono di determinare le condizioni materiali di conduzione di operazioni conservative.

Influente fu in Italia la circolare ministeriale del 1972, diretta emanazione della Teoria del restauro di Cesare Brandi, anche se ci sembra impraticabile quanto lamentato all’epoca dallo studioso, e cioè che le precedenti Carte non avessero addirittura assunto valore di legge. Una pretesa insensata che sarebbe impossibile rendere applicativa; la funzione delle Carte è tipicamente storica e culturale. Bene ha fatto allora l’autrice ad assumerle come linea guida, perché in realtà esse rispecchiano la situazione del loro tempo e sono il diretto risultato (come quella del 1972, appunto) di elaborazioni a carattere teorico, coscienti e no; di qui dunque il rapporto con le teorie. Intendo dire che vi sono molti modi di fare teoria, e non è detto che i più appropriati consistano nell’utilizzare il termine «teoria» nel titolo. 

Così come Roberto Longhi nel suo articolo che nel 1950 inaugurava la nuova rivista «Paragone» scriveva che «nel gesto di Rubens che libera i frati della Scala dal grave incomodo della “Morte della Vergine” del Caravaggio, acquistandola per il Duca di Mantova, c’è più critica che in tutto il Bellori», così la teoria della conservazione può essere riconosciuta non soltanto nelle pagine scritte, e comunque non soltanto in quelle approntate unicamente dagli storici e teorici. Intendo dire che operazioni materiali di restauro possono rivestire potente forza di qualità teorica, così come contributi utili e importanti di questa natura possono pervenire anche dagli scienziati e, perché no, dai restauratori; queste dunque potrebbero essere linee da approfondire nel caso si intendesse in futuro proseguire e allargare la ricerca. 

La scelta di iniziare da Atene 1931 non impedisce di chiamare inevitabilmente in causa anche precedenti dei tempi passati; non mancano dunque i riferimenti a Ruskin, Viollet-le-Duc e Camillo Boito, e forse spunti significativi si potrebbero individuare anche nella manualistica ottocentesca. Al primo capitolo, dedicato in particolare al concetto di autenticità, ne segue un secondo in cui l’argomento è Cesare Brandi. La trattazione dell’autrice è intelligente ed equilibrata, giustamente critica laddove si dimostri appropriato discutere alcuni passaggi della sua Teoria pubblicata nel 1963. Utilissimo il richiamo al viaggio di Brandi negli Stati Uniti del 1939-40; sempre più probabile risulta che uno stimolo importante per l’elaborazione delle ben note tecniche di restauro pittorico da parte dell’Icr sia stata l’osservazione delle realizzazioni compiute negli anni Trenta nel Fogg Art Museum di Harvard da parte del misconosciuto Arcadius Lyon. Il libro di Rossi Pinelli è aggiornato a maggio 2023, arrivando a comprendere il convegno «Oltre Brandi: i 60 anni dalla Teoria del restauro» tenuto a Roma ad opera dell’Ari (Associazione Restauratori d’Italia). 

Fa seguito un terzo capitolo in cui l’argomento è Giovanni Urbani, terzo direttore dell’Istituto Centrale dopo Brandi e Pasquale Rotondi. A mio parere, si tratta delle pagine migliori del libro, in cui Orietta Rossi Pinelli, già professore ordinario di Storia della Critica d’Arte alla Sapienza di Roma e fra gli studiosi più autorevoli di Sette e Ottocento, presenta benissimo al lettore la straordinaria figura di Urbani in tutta la sua importanza e preveggenza, non ancora sufficientemente riconosciute. L’autrice dimostra come Urbani non fosse un sognatore astratto, ma quanto invece le sue convinzioni che le problematiche della conservazione dei beni culturali dovessero essere affrontate su scala globale risulterebbero aggiornate e preziose anche nell’oggi. Alle azioni rivalutatrici condotte da anni da Bruno Zanardi si aggiunge dunque oggi un’altra voce autorevole, che non nasconde gli elementi di vera contrapposizione di Urbani nei confronti del suo illustre predecessore Brandi. 

Il capitolo successivo allarga lo sguardo agli altri elementi (persone, fatti) rilevanti nella seconda metà del Novecento, e qui vorrei dire che a mio parere l’importanza nel restauro del belga Paul Philippot è sopravvalutata. È proprio in questo capitolo che si potrebbe proporre l’aggiunta di altri fatti significativi, così come nel capitolo finale e nelle conclusioni, con gli importanti riferimenti alla Carta di Nara e alla Convenzione di Faro, si potrebbe suggerire di avanzare altri elementi da considerare: l’introduzione nel restauro di concetti come il minimo intervento, la durabilità o la compatibilità, i Dm 86 e 87 del 2009 con la definizione della figura del restauratore e del relativo percorso di studi a livello di laurea magistrale, il conseguente ingresso del restauro nella formazione delle Università e delle Accademie. Il libro è uno strumento di grande utilità, giustamente informativo e argomentativo.

Le teorie del restauro dalla Carta di Atene a oggi
di Orietta Rossi Pinelli, 224 pp., Einaudi, Torino 2023, € 21 

La copertina del volume

Giorgio Bonsanti, 29 maggio 2024 | © Riproduzione riservata

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