Giuseppe Mancini
Leggi i suoi articoli«Alle origini del potere»: uno slogan per i visitatori di Arslantepe lungo i viali di accesso, soprattutto una fortunata sintesi che ha accompagnato per oltre un decennio archeologi e funzionari turchi e italiani alla conquista dell’Unesco. Il 26 luglio, infatti, il sito archeologico anatolico è stato incluso nella Lista del Patrimonio dell’Umanità, subito catturando attenzione mediatica internazionale. Ma che cosa ha di tanto speciale questa località turca a cinque chilometri da Malatya e a 15 chilometri dalla riva destra dell’Eufrate? Da dove nasce il suo «valore universale»?
Marcella Frangipane dell’Università di Roma «La Sapienza», per 30 anni direttrice della missione italiana ad Arslantepe ed emozionata per il traguardo raggiunto, è rigorosa ed evocativa: «Mostra i fondamenti antichi della nostra storia di oggi, mostra la nascita di uno Stato laico insediato in palazzi del potere e non più solo in templi». Un fenomeno ai margini della Mesopotamia, non indotto ma frutto di elaborazione locale in un’area comunque aperta ad apporti culturali esterni.
La cooperazione italo-turca risale al 1961 e venne celebrata già nel 2004 con una grande mostra ai Mercati di Traiano, dove vennero presentati a un pubblico più vasto anni di ritrovamenti, tra cui spade riposte su di un muro come simbolo di potere, suppellettili in ceramica, soprattutto sigilli e le loro impressioni su creta, che testimoniano l’esistenza di una burocrazia già sofisticata: le origini del potere. Oggi sono al museo di Malatya, i reperti sono molto più numerosi, ma sono già allo studio progetti per un museo e un centro visitatori di Arslantepe. La collinetta artificiale, o «tell», è alta 30 metri e si estende per circa 4 ettari e mezzo; è nata dal sovrapporsi di strati di abitazione, dal VI millennio fino alla distruzione neo-assira nel I (ma venne riutilizzata successivamente come cimitero).
La sua specificità è che le murature del grande palazzo, in mattoni crudi, sono visibili ancora oggi: il pubblico può accedervi come sei millenni fa, aggirarsi nel groviglio di sale e stanze seguendo percorsi di visita in traversine e fango pressato, ammirare persino resti di pitture. Quel che accadde è che «l’esperimento di Stato laico probabilmente fallì dopo poco tempo: il palazzo venne incendiato ma non distrutto, sulla sua estensione di 3.500 metri quadrati (con altre aree da scoprire) non c’è stata urbanizzazione». La professoressa Frangipane parla molto volentieri del suo impegno in Turchia, di una missione archeologica che produce non solo conoscenza scientifica per gli specialisti ma soprattutto sviluppo locale. In chiave Unesco, è stata anche questa una carta importante: coinvolgere gli abitanti del minuscolo villaggio rurale di Orduzu prima come operai, poi come beneficiari di formazione culturale, infine come potenziali operatori economici.
«Sono stati loro i primi a festeggiare sui social network, in attesa di una grande festa con le autorità; saranno anche loro a preservare Arslantepe in futuro: ormai sanno che è una storia loro, che gli appartiene», spiega Marcella Frangipane. La guida della missione è passata a Francesca Barossi Restelli, già parte del team e quindi orientata a mantenere il metodo seguito, sia scientifico sia di archeologia pubblica. La grande sfida sarà quella di aumentare il numero di visitatori stranieri, solo 50mila prima del Covid-19 e soprattutto scolaresche turche, senza stravolgere l’impostazione che privilegia l’apprendimento: come del resto è nella natura del luogo, sorprendente e da rispettare. Il nuovo museo è probabilmente la priorità su cui investire, oltre a servizi di accoglienza per potenziali visitatori.
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