Matteo Bergamini
Leggi i suoi articoliA Ginevra, da qualche mese, c’è una nuova galleria ad arricchire il tessuto contemporaneo cittadino, affiancandosi alle sedi di Gagosian, Pace, Wilde, Skopia. Una realtà intima, affacciata sul lago, a pochi passi dal centro storico della città: si chiama L’Appartement, e si è data come status una identità «ibrida» desiderosa di creare connessioni tra l’industria dell’arte e altri settori. E, aggiungiamo noi, sperimentando «Great Affinities» tra le parti, esattamente il titolo di una seconda esposizione che non ci si aspetterebbe da una galleria appena nata, vuoi per un approccio curatoriale rigoroso e audace, vuoi per la presenza di grandi nomi dell'arte del mondo globale e oltre, selezionati dalla direttrice Thea Montauti d’Harcourt Lyginos.
Nell’Appartement, infatti, convivono in un dialogo perfetto opere di artisti come Sol Lewitt («Horizontal brushstrokes», 2003), André Masson («Un jour d’automne», 1960), Marina Adams («Who’s Afraid of The Red, White and Blue», 2023), Howardena Pindell («Untitled», 1971) e anche Piero Dorazio, con una splendida tela dai toni bianchi, dalla forme rotatorie («Senza Titolo», 1957) insieme a una serie di pitture di noti artisti aborigeni australiani, tra cui Emily Kame Kngwarreye, Clifford Possum Nyurapayia Nampitjinpa (alias Mrs. Bennett), Yukultji Napangati, Yannima Tommy Watson e la mitica Sally Gabori, esposta anche da Triennale Milano in un progetto patrocinato da Fondation Cartier, nel 2023.
Una selezione a dir poco curiosa, dove le più astratte e geometriche forme si compenetrano e sorpassano decadi e continenti, in un percorso che sembra unire i puntini (a volte nel vero senso della parola) per un risultato armonico che, date le singole differenze tra gli autori, non era facile ottenere. Il titolo «Great Affinities» è preso da una affermazione di Sol Lewitt che, invitato alla Biennale di Venezia del 1997 a esporre i suoi «Brushstrokes», rimase incantato dalle opere di Emily Kane, artista che stava rappresentando l’Australia, purtroppo un anno dopo la sua scomparsa. Guardandole, Lewitt dichiarò: «I feel a great affinity with this works», spiega la direttrice, Thea Montauti.
E come gli artisti di questa mostra, anche la giovane gallerista ha dalla sua una grande affinità con quello che potremmo definire l’idea di un «progetto culturale», superando il ruolo tradizionale di una galleria d’arte per creare una realtà che unisca collezionisti esperti e giovani generazioni: d’altronde i prezzi delle opere presenti in mostra funzionano per tutte le tasche.
Con studi in Economia e management per arte, cultura e comunicazione all’Università Bocconi di Milano, un inizio di carriera come Assistant Manager a Londra, nel campo della musica, un passaggio di alcuni anni a New York e un ritorno in Svizzera dove, tra le altre cose, si è occupata anche del business dell’azienda vinicola della famiglia, Thea Montauti d’Harcourt Lyginos ha iniziato creando una collezione per il padre. Da lì i primi contatti con le gallerie, l’ingresso nel mondo del contemporaneo perché, afferma, «Mi sentivo troppo inesperta per collezionare Arte moderna» e l’idea, dopo anni passati come advisory per Sotheby’s, di aprire uno spazio proprio, che è arrivato con l’appartamento vuoto. «Mi mancava troppo organizzare esposizioni. Certo, adoro l’attività dell’advisory e in un certo senso i miei clienti, fedeli da anni, sono coloro che molto spesso influenzano le mie scelte in fatto di esposizioni, includendo l’Arte Aborigena, della quale mi sto occupando da due anni», afferma.
Ma perché scegliere Ginevra anziché Parigi, per esempio, per aprire una galleria? La direttrice rimarca la volontà di mantenere una dimensione intima dell’attività, quasi famigliare: «Non mi interessa l’idea di trasformarmi in un big brand dell’arte; voglio invece potenziare un lavoro di produzione degli artisti. Nel prossimo futuro immagino anche una serie di residenze, su invito, nella tenuta vinicola di famiglia, nel Canavese», spiega.
Sempre nel futuro ci sono già programmate anche le partecipazioni a Nomad St. Moritz e a June Art Fair, satellite di Art Basel, il prossimo giugno, con un solo show del pittore, fotografo e performer italiano Claudio Massini (Napoli, 1955). Per quanto riguarda partecipazioni internazionali, specialmente negli Stati Uniti, Montauti d’Harcourt Lyginos afferma di avere ancora tempo: «Con il mio team (tutto in pink, composto da una serie di professioniste under 40, Ndr) abbiamo concordato che parteciperemo solo alle fiere che avranno un senso per quello che vogliamo mostrare, anche sfatando il mito che a Ginevra, o in Svizzera in generale, sia più facile o più economico promuovere un’attività imprenditoriale nell’arte».
E nel futuro delle stanze dell’Appartement? Sicuramente ci saranno ancora artisti originari (o indigeni, che dir si voglia) mescolati a grandi maestri e a giovani promesse, ma stavolta provenienti dall’America Latina e, più specificamente, dal Brasile.
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