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Opere di Joelington Rios, Aida Chiqueno e Ana Picanere nella Bienal das Amazônias del 2023

Photo: Nailana Thiely. Courtesy of Bienal das Amazônias

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Opere di Joelington Rios, Aida Chiqueno e Ana Picanere nella Bienal das Amazônias del 2023

Photo: Nailana Thiely. Courtesy of Bienal das Amazônias

Manuela Moscoso: «Immaginare insieme è un atto politico»

La seconda edizione della Bienal das Amazônias, nel Nord del Brasile, connette flussi di identità e appartenenza, di acqua e conoscenza, dall’Amapá a Manaus, dal Perù all’Ecuador 

Matteo Bergamini

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«Una biennale non è mai una proposta unica, né un modello fisso. Ogni edizione è attraversata da scelte specifiche e nessuna può abbracciare tutto, ma non è una mancanza: è nella sua parzialità che risiede la sua forza. Una mostra è sempre il risultato di una combinazione di fattori; la ricerca curatoriale, il dialogo con gli artisti e i team coinvolti, il tempo a disposizione, le risorse dell’istituzione, i limiti del corpo e del contesto. Riconoscere queste caratteristiche significa affermare un impegno etico con il presente», afferma Manuela Moscoso (1978), curatrice della seconda edizione della Bienal das Amazônias, organizzata dal 29 agosto al 30 novembre a Belém do Pará, nel nord del Brasile. Nata in Ecuador e di casa a New York, Moscoso ha conseguito un master in Studi Curatoriali al Bard College e, dal 2021, è direttrice del centro non profit Cara (Center for Art, Research and Alliances), oltre ad aver già lavorato al Museo Tamayo di Città del Messico e ad aver curato «The Stomach and The Port», la Biennale di Liverpool del 2021 e, nel 2014, la Bienal de Cuenca, in Ecuador, in veste di curatrice associata. 

Per la sua Biennale delle Amazzonie, Moscoso ha scelto il titolo «Verde distância», ispirandosi al libro dello scrittore paraense Benedicto Monteiro, Verde Vagomundo: lanciato nel 2022, il testo è un invito a percepire il «continente» della foresta più raccontata del mondo attraverso i suoi colori, suoni, ritmi e pause, dove «vagomundo» rimanda all’idea di un universo errante, in cui il viaggio nella saggezza ancestrale si connette alle questioni contemporanee che affliggono la regione. «Il territorio panamazzonico è molteplice. Custodisce memorie e, allo stesso tempo, vive conflitti e trasformazioni molto attuali. Ciò che si impara nelle Amazzonie non è una lezione unica e omogenea, ma un continuo scontro tra diverse forme di vita, alcune basate sulla reciprocità e sull’interdipendenza, altre attraversate dall’estrattivismo che sostiene le esistenze, pur compromettendole. Qui, i ritmi della terra coesistono con logiche di sfruttamento che trasformano e tensionano il territorio. Per me, si tratta di riconoscere che queste condizioni sono in ogni momento: passato e presente si mescolano e la vita non si lascia incasellare. Questa complessità è la forza del luogo», spiega la curatrice, nel cui progetto troverà largo spazio anche il tema del «sogno», inteso come «tecnologia ancestrale» che apre spazi per l’ascolto e l’immaginazione,  idealmente connettendosi a «Bubuia», parola intraducibile in italiano, una sorta di «ozio creativo e riflessivo», inserita nel 2023 nel titolo di debutto della Biennale, che lo scorso anno ha anche ufficializzato il proprio avamposto, il Ccba (Centro Cultural Bienal das Amazônas), nel centro storico di Belém.

Nata dopo oltre dieci anni di gestazione, sin dal principio la manifestazione ha scelto di  pluralizzare il termine Amazonas, il fiume, che dà il nome alla sua foresta e allo Stato brasiliano, in Amazônias, nella volontà di abbracciare, appunto, la vastità di questa parte di mondo, labile in fatto di confini geografici ma definito nella sua identità porosa. E a proposito di permeabilità, Manuela Moscoso continua ad avere idee molto chiare: «Mi interessa sviluppare progetti a partire dalle possibilità offerte, senza imporre una modalità unica di vedere o sentire. Curare è produrre una conoscenza che non si separi dall’esperienza, sostenendo ciò che è contraddittorio e poroso. La mostra, in questo caso, può essere un modo di attivare questo ascolto ampliato, dove l’arte non illustra, ma invita, avvicina, mescola altre maniere di intendere il mondo». Ed ecco che ritornano le parole di Monteiro ma anche quelle del teorico e poeta nordamericano Fred Moten (1962), dedicate al «Pensare l’ascolto»: «Non si tratta di catturare informazioni, ma di lasciarsi attraversare da ciò che risuona, un modo di essere implicati nel mondo. Inoltre, allo stesso modo, quando parlo di affetto non penso a un’emozione individuale, ma a una forma di relazione che plasma le nostre soggettività, come sottolinea Suely Rolnik» (1948), spiega la curatrice, citando la filosofa, scrittrice, psicanalista e curatrice brasiliana. Una forma poetica che per Moscoso, però, non rappresenta né una fuga dalla realtà né un «decorativismo», già che parlare di sogni, ascolto e affetto, significa mettere a fuoco forme reali di relazione con le persone, con i territori, con il tempo: «Qui il poetico non è l’opposto del politico, ne è parte. Ed è proprio per questo che credo sia necessario creare spazi dove immaginazione, sensibilità e pensiero camminino insieme. Il sogno, inoltre, nei territori panamazzonici è ben lontano dall’essere una fantasia privata: è una potenza concreta. Immaginare è agire, e immaginare insieme è creare le condizioni perché qualcosa cambi. Non c’è nulla di più politico di questo». Uno sguardo, a proposito di politica, che va principalmente alla 30ma Cop, Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, che Belém ospiterà dal 10 al 21 novembre: «Spero che “Verde distância” possa contribuire con una visione che vada oltre il pragmatismo e porti alla luce altri modi di immaginare futuri possibili. D’altronde non si tratta solo di rappresentare crisi, ma di creare spazi d’incontro, affetti e riconoscimento, dove i modi di abitare il mondo possono essere reinventati», sottolinea la curatrice, che lavorerà al fianco di Sara Garzon, in veste di associated curator, e Jean da Silva, cocuratore del public program. L’identità visiva della manifestazione (sviluppata grazie alla legge Rouanet di incentivo culturale e sponsorizzata da Nubank, Shell e Instituto Cultural Vale, con il patrocinio di Mercado Livre, Ndr), è invece a cura di Priscila Clementti con l’artista paraense Bonikta (1996), quest’anno presente anche alla 14ma Biennale del Mercosul, da poco conclusasi a Porto Alegre. 

Una veduta della Bienal das Amazônias. Photo: Nailana Thiely

Matteo Bergamini, 30 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

Manuela Moscoso: «Immaginare insieme è un atto politico» | Matteo Bergamini

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