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Zanele Muholi, «Zanele Muholi II, Parktown Johannesburg», 2016, dalla serie «Faces and Phases»

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Zanele Muholi, «Zanele Muholi II, Parktown Johannesburg», 2016, dalla serie «Faces and Phases»

Ave, leonessa oscura. Zanele Muholi in mostra a New York

Fino al 23 maggio la Yancey Richardson Gallery espone cinque serie fotografiche che l’artista e attivista visiva sudafricana ha realizzato tra il 2002 e il 2013

Sawubona, in lingua zulu, significa ti vedo ed indica un saluto. Un saluto non assimilabile però ad una semplice e sterile reverenza, ma al riconoscimento della dignità e del valore dell'altro. Quell’altro che Zanele Muholi, attivista visiva e artista sudafricana di fama internazionale, invita a conoscere, riconoscere e, soprattutto, “vedere”.

È infatti attraverso cinque serie fotografiche realizzate tra il 2002 e il 2013, che Muholi – nella mostra ospitata alla Yancey Richardson Gallery di New York – costruisce un archivio emotivo, radicale e vivo. Un mosaico fatto di volti, sguardi e corpi che affermano dignità, amore e orgoglio. Non ci sono vittime o comparse. Ogni persona è ritratta come parte di una comunità che esiste, resiste e, anche per questo, si autorappresenta.

Con «Faces and Phases» (2006-in corso), ad esempio, l’artista crea un atlante dell’identità lesbica nera sudafricana fatto di ritratti intimi che, spesso, tornano sullo stesso soggetto nel corso degli anni. Nel titolo, infatti, “Faces” indica i volti delle persone ritratte, mentre “Phases” allude ai cambiamenti dell’identità sessuale, o di genere, e alle trasformazioni quotidiane che accompagnano il vissuto di chi prende parte all’opera. Un progetto che, ancora oggi, cresce come atto di memoria, affermazione e compartecipazione. È infatti la stessa artista a sottolineare che il qui si "esprime il nostro sé di genere, razzializzato, e di classe, in modi ricchi e diversi".

Zanele Muholi, «LiZa I», 2009, dalla serie «Being»

Un'affermazione, tanto del sé quanto dell’altro, che emerge anche in «Somnyama Ngonyama» («Ave, leonessa oscura»), celebre serie di autoritratti iniziata nel 2012, in cui Muholi si mette in scena con uno sguardo diretto e provocatorio. Spesso adornata da materiali di uso quotidiano – trasformati in corone, armature, maschere e la pelle scurita in post-produzione - l’artista sfida il canone eurocentrico di bellezza bianca, imponendo una nuova estetica, potente e scomoda. Perché l’obiettivo di Muholi non è “ammaliare”, ma far pensare. E lo fa con un obiettivo ambizioso: creare 365 immagini, una al giorno, per raccontare un anno intero della vita di una donna lesbica nera in Sudafrica.

È infatti il rifiuto, radicale, di una troppo consolidata narrazione del trauma che l’artista rifugge come unica forma di rappresentazione delle comunità queer, restituendo, invece, immagini intrise di fierezza, autodeterminazione e felicità condivisa – come appare anche in «Only Half the Picture», ove la tenacia delle donne sopravvissute a crimini d’odio è tradotta in una narrazione di affermazione, dignità e gioia piuttosto che di lotta, tragedia e trauma. 

Delle opere, dunque, in cui la fotografia si fa voce, incisiva e tagliente, per chi è stato messo a tacere. Si fa specchio, riflessivo e profondo, per chi è stato privato del proprio “vedere”. Perché Muholi non è solo un’artista, ma è un archivista di verità. Un’attivista visiva – come preferisce definirsi – che da oltre vent’anni racconta le molteplici espressioni della vita queer nera in Sudafrica. E con Sawubona invita, una volta per tutte, a guardarla – o meglio “vederla” – per davvero.

Nicoletta Biglietti, 06 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

Ave, leonessa oscura. Zanele Muholi in mostra a New York | Nicoletta Biglietti

Ave, leonessa oscura. Zanele Muholi in mostra a New York | Nicoletta Biglietti