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Bruno Racine: le mostre del 2026, il museo come dispositivo dialettico, il Grand Tour di Palazzo Grassi e la turistificazione di Venezia

«Il museo è un dispositivo dialettico in grado di attivare emozioni attraverso gli strumenti delle arti». Intervista a tutto campo al direttore e amministratore delegato di Palazzo Grassi - Punta della Dogana

Lavinia Trivulzio

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Palazzo Grassi ha ideato nel corso della sua storia diversi format per riflettere sul ruolo di un’istituzione museale oggi, tra questi si distingue sicuramente Grand Tour che quest’anno compie 10 anni, di cosa si tratta esattamente e come funziona?

Grand Tour è un format nato nel 2015 per riflettere sulle opportunità e sulle sfide che i dipartimenti educativi dei diversi musei del mondo si trovano quotidianamente ad affrontare nel loro lavoro con i vari tipi di pubblico. Il nome scelto per indicare questa iniziativa risale al viaggio che nell’Ottocento aristocratici e alto borghesi europei compivano in Italia per studiarne le bellezze antiche e rinascimentali, in cui Venezia era una tappa imprescindibile. Allo stesso modo, ogni anno invitiamo un’istituzione a compiere un viaggio a Venezia portando il proprio bagaglio di esperienze sul campo, ciascuno connotato dalle specificità della regione di appartenenza, sia essa una città italiana o un Paese europeo, e a condividerlo con i colleghi dei servizi educativi provenienti da altre istituzioni ma anche a metterlo in pratica con il nostro pubblico.

Il format si è evoluto negli anni, perché con lui si sono evolute le modalità di interazione e coinvolgimento con il pubblico, ma il progetto si sviluppa sempre in un momento dedicato ai professionisti con la condivisione di studi, analisi e riflessioni tra addetti ai lavori e in una giornata di attività che questi musei internazionali adattano e offrono al pubblico veneziano, sviluppando cosi un’esperienza innovativa sia per il museo ospite sia per il pubblico veneziano.

Tanti amici sono passati di qui dal 2015 a oggi: Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino (2015), Fondazione Palazzo Strozzi di Firenze (2016), Centre Pompidou di Parigi (2017), Manifesta 12 a Palermo (2018), lo S.M.A.K. Stedelijk Museum voor Actuele Kunst di Gand in Belgio (2019), MAXXI, Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma (2020), ECAL/Ecole cantonale d’art de Lausanne di Losanna in Svizzera (2021), Van Abbemuseum di Eindhoven nei Paesi Bassi (2022), Haus der Kulturen der Welt di Berlino in Germania (2023) e Mucem, Musée des civilisations de l'Europe et de la Méditerranée, di Marsiglia (2024).

Ciascuno di loro si è distinto per le proposte e per la ricerca in questo campo, dando vita a pratiche e progetti trasformativi. Come per esempio il BUS Destination Mucem, un progetto che il museo di Marsiglia ha attivato per abbattere le diverse barriere di accessibilità. L’autobus Destination Mucem attraversa i quartieri della città, andando a prendere il pubblico e portandolo direttamente al museo per visitare le mostre o passeggiare nei giardini del Forte Saint-Jean, un’iniziativa emblematica per costruire una relazione quotidiana tra il museo e i cittadini.

Questo scambio costante ha permesso negli anni di fare di Grand Tour una vera e propria piattaforma di innovazione negli ambiti dell’educazione e della mediazione culturale. 

Volendo tracciare un bilancio di questi 10 anni, qual è il patrimonio conoscitivo raccolto nel corso di questa esperienza di condivisione e confronto con musei nazionali e internazionali? Quali sono le sfide che emergono oggi nella gestione dei servizi educativi e nella relazione con il pubblico?

L’obiettivo principale della decima edizione è proprio attivare una riflessione su come si è evoluto il ruolo del museo e in particolare sulle linee di interazione e coinvolgimento del pubblico. Queste linee vengono esplorate attraverso 5 tavoli tematici di dialogo e riflessione, ciascuno guidato da due moderatori, che hanno condotto le precedenti edizioni del Grand Tour apportando la ricca esperienza maturata in questi anni nelle diverse istituzioni.

I temi scelti toccano proprio alcune delle sfide e delle necessità che affrontano i musei contemporanei: Caring – Prendersi cura dei propri pubblici, Out-reaching – Raggiungere tutti i pubblici, Being part – Appartenere a una comunità, Mediating & Sharing – Mediare e condividere esperienze e conoscenze, Learning – Imparare e apprendere nuove prospettive e conoscenze.

Vogliamo osservare il percorso che ogni museo ha affrontato in questi anni e continua a fronteggiare oggi nella relazione con i propri pubblici e condividere le soluzioni, le modalità e le pratiche attuate. Questi valori si riflettono nei laboratori che nella giornata di sabato i diversi musei propongono al pubblico di Venezia. Un’occasione per sperimentare in ogni senso il patrimonio che ognuno di noi ha a disposizione quando entra in contatto con l’arte, disegnando, immaginando o magari anche urlando dentro un museo, come proposto ad esempio da uno dei laboratori in programma.

Come si è evoluta la concezione e il ruolo del Museo contemporaneo in questi anni segnati da una crisi pandemica mondiale e dall’insorgere di nuove problematiche, ma anche di nuove sensibilità?

Partendo dalla presa di coscienza che il Museo di arte contemporanea non è un luogo di contemplazione, ma un dispositivo dialettico in grado di attivare emozioni attraverso gli strumenti delle arti, credo che l’evoluzione non sia tanto da intendersi in un passaggio di status ma nella capacità di sapersi porre come una piattaforma di incontro e scambio nei confronti delle tematiche che interessano il dibattito contemporaneo.

A livello di mezzi e linguaggi, sicuramente la pandemia ha amplificato la dimensione digitale e rafforzato il rapporto con le community online. Quest’ultima non è più soltanto una proiezione del pubblico fisico alla ricerca di informazioni di servizio, ma una tipologia a sé stante di fruitore per il quale è necessario immaginare strumenti e contenuti specifici.

Allo stesso modo, cerchiamo di potenziare costantemente l’inclusività della nostra proposta, sia con i mezzi che utilizziamo da anni, come la presenza di guide LIS o iniziative pensate appositamente per persone che si trovano in condizioni di marginalizzazione, ma anche sviluppando occasioni di incontro e conoscenza tra le diverse comunità presenti sul territorio, come fa Altri Sguardi il progetto che dal 2019 invita ogni anno persone con background migratorio a sviluppare con noi un percorso di mediazione delle mostre a Palazzo Grassi e Punta della Dogana attraverso una rilettura multiculturale delle opere esposte per poi condividerla con i visitatori del museo.

Venezia è una piattaforma particolarmente sensibile, fortemente segnata dalla turistificazione di massa che ha portato, tra le varie conseguenze, anche allo spopolamento, alla spersonalizzazione dei suoi spazi e allo svuotamento di significato di molte tra le sue tradizioni. Come è possibile per un’istituzione museale resistere e allo stesso tempo reagire a questo fenomeno?

Il pubblico dell’arte ha già in sé le caratteristiche di un modello di turismo responsabile e sensibile e sarà sempre più importante mettere in atto strategie per fidelizzarlo e per coinvolgerlo anche a lungo termine. Le nostre istituzioni hanno sempre offerto una programmazione di eventi e appuntamenti lungo tutto l’anno in grado di coinvolgere la complessità di questo pubblico che porta con sé diverse sensibilità che l’arte può intercettare: cittadini, adulti, bambini, studenti di tutti gli ordini, appassionati delle arti visive, del cinema, della musica e della danza e della letteratura.

Puntiamo sulla qualità della proposta, ma anche sulla sua capacità di includere pubblici sempre più ampi senza banalizzare o rendere semplicistici gli approcci. Grand Tour, i laboratori per tutti e l’ospitare iniziative che rientrano in un network locale e internazionale lo dimostrano e tracciano una linea di operatività che esiste da prima che il fenomeno del turismo di massa entrasse nelle cronache quotidiane.

La proposta espositiva di Palazzo Grassi – Punta della Dogana per il 2026 si distanzia dalle precedenti con 4 personali, due per ciascuno degli spazi espositivi, che offrono sguardi provenienti da geografie diverse e non eurocentriche. Può raccontarci questa scelta?

Quest’anno abbiamo scelto di coinvolgere 4 grandi protagonisti della scena contemporanea: Michael Armitage, Amar Kanwar, Lorna Simpson e Paulo Nazareth. 4 artisti originari di Paesi non occidentali che portano uno sguardo diverso sul mondo mettendo in luce storie legate a popoli e tradizioni lontani rispetto alla nostra quotidianità.

Palazzo Grassi presenta Michael Armitage, nato in Kenya nel 1984, la cui arte è ricca di riferimenti all’Africa orientale che si mescolano con la tradizione iconografica occidentale, da Goya a Gauguin per esempio, Amar Kanwar è nato in India nel 1964 e la sua poetica è invece profondamente radicata nella storia post-coloniale del subcontinente indiano, ancora segnata dai conflitti nazionalistici e religiosi. Punta della Dogana ospita Lorna Simpson, artista afro-americana che, attraverso la pittura e la fotografia, mette in rilievo le costruzioni razziali e di genere nella definizione di immaginari, e il brasiliano Paulo Nazareth il cui lavoro invita i visitatori a seguirlo lungo i suoi viaggi. Da oltre quindici anni, infatti, Nazareth percorre metodicamente le Americhe e il continente africano, camminando per lo più a piedi nudi per calpestare sempre lo stesso suolo e rendere omaggio ai suoi antenati in schiavitù.

Il punto di partenza è sempre la Pinault Collection perno di relazioni dirette e di lungo periodo con ciascuno di questi artisti ed è alla base dei vari nuclei espositivi che saranno presentati in percorsi arricchiti da prestiti e nuove produzioni. 4 mostre che costituiscono una vera e propria panoramica sulle tantissime tematiche toccate dalla collezione ancora tutte da esplorare. 

Palazzo Grassi

Lavinia Trivulzio, 16 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

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