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Lavinia Trivulzio
Leggi i suoi articoliLe Monde l'ha definita "ambasciatrice del soft power emiratino" dopo che la sceicca è stata insignita dell'Ordine delle Arti e delle Lettere di Francia nell'aprile di quest'anno. Anche la Lega Araba per l'Educazione, la Cultura e la Scienza l'ha recentemente nominata "Ambasciatrice Straordinaria" per la Cultura Araba per il prossimo anno. Di certo la sua influenza si è estesa ben oltre Sharjah, dove il padre della curatrice è emiro. È stata alla guida della biennale dall'età di ventidue anni e ora, 22 anni dopo, con quell'esperienza alle spalle, ha dimostrato il suo valore anche oltre la sfera d'influenza familiare. La curatrice è riuscita a trovare un equilibrio tra influenza e credibilità, sostenendo artisti di fama mondiale e spesso unendo un senso politico ai finanziamenti che senza dubbio attrae per i suoi eventi su larga scala. Prendendo il titolo " A Time Between Ashes and Roses" da un'opera del 1970 del poeta siriano Adonis, Hoor ha continuato a privilegiare artisti non occidentali e indigeni. Quando la sua Biennale di Sydney aprirà il prossimo marzo, Hoor condurrà i visitatori nella zona occidentale della città australiana, sede di numerose comunità della diaspora. Nonostante i suoi viaggi in giro per il mondo e la presidenza dell'International Biennial Association, è anche presidente della Global Studies University di Sharjah, un corso di laurea magistrale che ha recentemente annunciato il lancio di un programma di dottorato interamente finanziato.
Nel 2003, appena ventitreenne, assume la guida della Sharjah Biennial. L’istituzione ha un profilo ancora modesto e vive ai margini del sistema dell’arte. Il suo arrivo inaugura una fase di mutazione lenta e costante. Hoor Al Qasimi comincia a invitare artisti che non trovano spazio nelle geografie dominanti, intercetta pratiche nate in Asia, in Africa, nel Medio Oriente più periferico, riportando l’attenzione su narrazioni che mettono in crisi gli automatismi europei e americani. La Biennale cambia pelle e in breve diventa un appuntamento irrinunciabile per chi vuole capire dove stanno andando i linguaggi del contemporaneo. Nel 2009 nasce la Sharjah Art Foundation. Il progetto non si limita alla costruzione di spazi espositivi ma aspira a mettere in circolazione idee, sostenere produzioni, offire risorse agli artisti attraverso residenze e programmi di ricerca. Hoor Al Qasimi immagina un ecosistema più che un museo, e lo fa crescere anno dopo anno, alimentandolo con collaborazioni internazionali e con uno sguardo sempre rivolto verso i margini del mondo. La sua visione si inscrive in un momento storico in cui il discorso decoloniale entra nelle istituzioni e la sua capacità di far dialogare storie diverse le permette di diventare una delle figure più significative della scena globale.
La sua autorevolezza si consolida a livello internazionale. Dirige il Padiglione degli Emirati alla Biennale di Venezia del 2015, viene chiamata a contribuire alla Triennale di Aichi e poi alla Biennale di Sydney. Ogni esperienza aggiunge un tassello al suo modo di intendere la curatela, fatto di ascolto e di costruzione lenta, di incontri che generano altri incontri. Nel 2024 ArtReview la colloca al primo posto nella sua classifica annuale delle personalità più influenti del sistema dell’arte, un segnale della traiettoria che ha seguito e della centralità che ha acquisito. Anche nel 2025, il giornale le ha riservato una posizione di prestigio, inserendola al terzo posto. Montando uno accanto all’altro i tasselli del suo percorso emerge l’immagine di una figura che ha saputo fondare un nuovo centro nel mondo dell’arte globale. Sharjah si afferma come luogo in cui riscrivere mappe e narrazioni che per troppo tempo hanno guardato in una sola direzione. La sua traiettoria appare oggi come una delle più significative nel processo di spostamento verso Sud del baricentro culturale internazionale. Chi osserva questa trasformazione finisce per riconoscere in lei un equilibrio raro, capace di conciliare tradizione e desiderio di apertura, radici locali e prospettive globali. E un’idea precisa dell’arte come strumento di relazione, come terreno su cui ridisegnare le possibilità del presente.
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