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Federico Florian
Leggi i suoi articoliLa Tate Modern ospita, dall’11 novembre al 3 aprile, la retrospettiva «Alexander Calder: Performing Sculpture». A cura di Achim Borchardt-Hume, Ann Coxon e Vassilis Oikonomopoulos, la mostra raccoglie un centinaio di opere dell’artista americano, nato in Pennsylvania nel 1898 e morto a New York nel 1976, pioniere di una scultura cinetica, anzi «performativa» come sottolinea il titolo. L’esposizione traccia le varie fasi dell’evoluzione del vocabolario dello scultore: dalle prime sperimentazioni pittoriche presso la Arts Students League di New York, dopo una formazione da ingegnere, al periodo parigino degli anni Venti, dove elabora le sue prime sculture con il fil di ferro. La vera rivoluzione avviene nel 1931, quando Calder crea il primo di quelli che Marcel Duchamp definirà «mobiles»: oggetti scultorei motorizzati, capaci di conferire a un medium tradizionalmente statico come la scultura una seducente energia dinamica. Tra le opere esposte, i ritratti figurativi in fil di ferro di altri artisti, come Joan Miró e Fernand Léger, testimonianza delle amicizie parigine di Calder nel periodo tra le due guerre, accompagnati da rappresentazioni di personaggi legati al mondo del circo e del cabaret. Oltre a un gruppo di «mobiles» motorizzati (tra cui «Black Frame» e «A Universe», entrambi del 1934), il percorso include alcuni lavori che incorporano campanellini stimolati dal moto leggero delle forme (tra gli altri, «Red Gongs», 1950, «Streetcar» e «Triple Gong», entrambi del 1951). Esposta per la prima volta, infine, una selezione di composizioni costituite da pannelli e cornici contenenti le caratteristiche forme cinetiche tridimensionali, simili a pinne di pesce o foglie fossilizzate, e il grande mobile «Black Widow» (1948 circa), le cui sinuose unità scultoree, di colore nero, evocano le zampe di un minaccioso ragno astratto. A rendere l’antologica ancor più appetitosa è il design architettonico, concepito dalle archistar Herzog & de Meuron.
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