Sandra Romito
Leggi i suoi articoliDal 21 marzo al 16 giugno alla National Portrait Gallery di Londra sono esposte più di 160 stampe vintage di due colossi della fotografia mondiale, Julia Margaret Cameron (1815-79) e Francesca Woodman (1958-81). Per la prima volta le due artiste sono affiancate: pur vissute a un secolo di distanza, accomuna le loro opere un senso di realtà altra, da cui il titolo della mostra, «Francesca Woodman and Julia Margaret Cameron: Portraits to Dream In», tratto da una nota della Woodman stessa, che identifica nella fotografia il luogo dove lo spettatore può entrare e sognare.
Entrambe sono note forse più per le vicende biografiche che per l’estesa mole di lavoro prodotta in pochi anni. Julia Margaret Cameron fu una donna assolutamente formidabile: nata e cresciuta in India ma educata in Francia, era una delle sette figlie di un’aristocratica francese e un alto esponente dell’East India Company. Fu solo quando si trasferì nel piccolo villaggio di Freshwater sull’isola di Wight che si dedicò anima e corpo alla fotografia, lasciandoci circa 900 scatti, eseguiti in 12 anni: aveva 48 anni e la sua breve carriera è la storia della fatica della fotografia di imporsi come forma d’arte e della fatica di una donna di diventare artista.
Breve fu purtroppo anche la carriera di Francesca Woodman, nata e cresciuta in America ma sempre con lunghe permanenze in Italia con i suoi genitori, entrambi artisti. Dopo essersi spostata a New York nel 1979, si toglie la vita a soli 22 anni, lasciando almeno 10mila negativi e 800 stampe, conservate e amministrate dalla Woodman Family Foundation a New York: alla loro generosità si deve la presenza di quasi 20 fotografie eseguite dalla Woodman mai esposte prima. Come Cameron, anche Woodman non cercò la perfezione dello scatto fotografico, utilizzando lo strumento per esplorare l’essere umano in una dimensione anche temporale, narrando sempre una storia.
Sono esposte le due prime fotografie scattate da entrambe: «Annie» del 1864, «il mio primo successo», scrive Cameron stessa, e «Self-portrait at Thirteen», scattata da Woodman durante le vacanze ad Antella nel 1972. Di lì la mostra promette di muoversi tematicamente, e i cherubini annoiati e stanchi della fotografa inglese (si pensi alle tempistiche della tecnica al collodio umido e al bambino in posa) sono accostati alle immagini della serie «Angels» dell’artista americana, in un continuo passaggio tra Ottocento e Novecento che la curatrice Magdalene Keaney auspica porti a un nuovo modo di guardare alla relazione tra i due secoli nel mondo della fotografia.
Non mancano, della Cameron, ritratti dei grandi letterati e scienziati dell’epoca vittoriana che lei conosceva e frequentava, primo fra tutti Sir John Herschel, padrino di una delle sue figlie. L’artista non fotografava su commissione, ma sceglieva i suoi soggetti tra familiari e amici: gli uomini diventavano quasi sempre figure eroiche mentre le donne erano intense e spesso malinconiche. Si veda il ritratto della nipote Julia Jackson, futura madre di Virginia Woolf e Vanessa Bell, o anche i ritratti allegorici di ispirazione classica, tanto criticati all’epoca ma di incredibile bellezza, come «Sadness» (l’attrice Ellen Terry), del 1864.
Accanto vi sono «Polka Dot #5» di Woodman, che fotografava soprattutto sé stessa in una cosciente e quasi feroce ricerca di collocarsi nello spazio, e opere dalla serie «Caryatid», testimonianza di quanto anche lei guardasse all’arte antica. Notevole è vedere per la prima volta nel Regno Unito esempi dei suoi libri, quasi tutti creati su vecchi quaderni di scuola acquistati nei mercati di Roma, sulle cui pagine incollava fotografie e scriveva annotazioni. Di grande intimità ma anche di grande potenza, rivelano l’intensità che Francesca Woodman ha sempre dedicato alla sua arte, una dedizione che accomuna certamente le due artiste.
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