Maurizio Cattelan e Pierpaolo Ferrari, «Toiletpaper»

Cortesia di Toiletpaper

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Maurizio Cattelan e Pierpaolo Ferrari, «Toiletpaper»

Cortesia di Toiletpaper

Cattelan e Stourdzé aprono le porte di Villa Medici al colore

Nella kermesse romana, i due curatori hanno affiancato autori meno noti o outsider a grandi nomi per celebrare un secolo di fotografia a colori attraverso 300 immagini

Entrare nella mostra «Chromotherapia» a Villa Medici (Roma) è come salire su una giostra impazzita. A guidarci sono i due curatori, Maurizio Cattelan e Sam Stourdzé, che ci invitano a celebrare cent’anni di storia della fotografia a colori attraverso lo sguardo di 19 autori internazionali. Ingigantite o caleidoscopiche, le 300 immagini esposte nella sede dell’Accademia di Francia flirtano con il Surrealismo e la pop culture, il kitsch ed il Barocco, suggerendo nuove visioni del mondo.

A inaugurare il percorso, articolato in sette sezioni, troviamo alcune figure pionieristiche degli anni ’30 che, incoraggiate dall’avvento liberatorio della Kodak, guardano al colore come fonte d’ispirazione e oggetto di sperimentazione. Fra queste, la suffragetta Madame Yevonde (Gb, 1893-1975) si serve del nuovo processo Vivex a tre negativi per reinterpretare in chiave ironica gli archetipi femminili con ritratti a protagoniste dagli accenti mitologici: fra tutte, la pensierosa Clio avvolta nel blu. 

Così i ritratti insieme avanguardistici e senza tempo con cui Erwin Blumenfeld (Germania, 1897-Italia, 1969) rivoluziona la fotografia di moda newyorkese di metà secolo, ottenuti attraverso audaci manipolazioni sul colore in laboratorio ed esemplificati dal celebre «occhio di cerbiatto» dove il rosso delle labbra e il nero degli occhi spiccano sul bianco latte del viso della modella.

È sempre in America che Harold Edgerton (Usa, 1903-90), ingegnere elettrico del Mit e fotografo, sviluppa il flash stroboscopico con cui riesce a fissare il movimento e fermare il tempo, fotografando ciò che si muove troppo velocemente per poter essere percepito dall’occhio umano: il pallone di football nell’attimo esatto in cui viene calciato, l’acrobazia del tuffatore in volo o il proiettile nel momento preciso in cui trapassa il cuore di una mela rossa.

Protagonisti dei più spiritosi ritratti della seconda sala espositiva, i nostri animali domestici preferiti sono trasformati in icone artistiche. Il gattino seduto su un trono di cuscini in tinta con il rosa shocking dello sfondo è solo un esempio dello stile che valse a Walter Chandoha (Usa, 1920-2019) il soprannome di «Cat photographer» e la notorietà fin dagli anni ’50. A sfidare i suoi gatti sulla parete di fronte, in un allestimento altrettanto ironico, sono i cani di William Wegman (Usa, 1943) umanizzati e pettinati con lunghe parrucche. Realizzati con una Polaroid 20x24 di cui esistono solo tre esemplari al mondo, queste vintage prints dai fondi sbiaditi ricordano la fragilità del colore, che con il tempo inevitabilmente tradisce il timbro originario scelto dal fotografo. 

Miles Aldridge, «Five Girls in a Car #1», 2013. Cortesia dell’artista

Ruth Ginika Ossai, «Rushemy botter spring summer 18 Men’s campaign “fish or fight”, July 2013». © Ruth Ginika Ossai

Fil rouge fra le sale della mostra, le immagini in formato gigante tratte da «Toiletpaper», il magazine ideato da Maurizio Cattelan (Padova, 1960) e Pierpaolo Ferrari (Milano, 1971), dialogano con l’effervescente colorimetria delle opere accostate che attingono al repertorio visivo del cinema e della pubblicità. Come quelle di Guy Bourdin (Francia, 1928-91), dalle figure femminili affascinanti ed inquietanti, e i close up di corpi e insetti con cui Hiro (Cina, 1930-Usa, 2021) reinventa l’arte della moda ispirandosi alle opere di surrealisti come De Chirico e Magritte.

La tappa successiva si sviluppa lungo lo scalone monumentale di Villa Medici con i lavori che indagano, sovvertendolo, il mito della femme fatale. Alex Prager (Usa, 1979) attinge alla memoria collettiva e alla mitologia classica per costruire messe in scena in cui realtà e finzione si confondono, come nel cinema americano evocato da Miles Aldridge (Gb, 1964), i cui ritratti di donne glamour e potenti ci raccontano storie incompiute. Salendo, il coinvolgimento continua con le fotografie di Adrienne Raquel (Usa, 1990) che ci porta in un mondo seducente di specchi, rossetti e tacchi a spillo, e poi con gli autoritratti di Juno Calypso (Gb, 1989). Ambientati in contesti intimi, esplorano i temi della solitudine e del desiderio, giocando sui rituali alienanti della bellezza di oggi. Una mano dalla perfetta manicure emerge da un liquido rosa confetto in maniera disturbante, facendo eco alle immagini firmate «Toiletpaper» e Guy Bourdin che all’inizio della scalinata riprendevano una coppia di mani femminili dalle lunghe unghie rosso sangue.

In questa kermesse del colore, i curatori hanno abilmente scelto di affiancare i grandi nomi della fotografia a autori meno noti o outsider. Fra questi c’è Arnold Odermatt (Svizzera, 1925-2021), di professione poliziotto, che documenta gli incidenti stradali con perizia tecnica e forza poetica: i fari di automobili liquefatti dal calore diventano soggetti astratti in grado di svelare le anomalie di una realtà al tempo stesso drammatica e attraente.

Superate le installazioni dai colori artificiali, immersive e oniriche di Sandy Skoglund (Usa, 1946), si approda nel regno del food con la grande firma della Magnum, Martin Parr (Gb, 1952). Allestiti senza respiro su un’intera parete, i primi piani di salsicce, patatine fritte, zampe di galline e torte di compleanno dai colori brillanti trasudano grasso in technicolor fino all’indigestione. In perfetto dialogo con le fotografie in grande formato di «Toiletpaper», rivelano qualcosa dell’approccio pornografico al cibo che caratterizza la società dei consumi.

L’ultimo capitolo della mostra, e della pubblicazione edita da Damiani, ospita un accostamento inaspettato. Da una parte l’estetica omoerotica di Pierre et Gilles (Francia, 1950 e Francia, 1953) si prende gioco del cattivo gusto e della nozione convenzionale di bellezza, dall’altra parte Ruth Ginika Ossai (Nigeria, 1991) rivisita la grande tradizione della fotografia africana ritraendo modelli neri all’interno di uno studio improvvisato in pieno tono kitsch e libertario.

C’è tempo fino al 9 giugno per salire sulla giostra e sperimentare gli effetti benefici della fotografia a colori.

Walter Chandoha, «New Jersey, 1962». © Walter Chandoha Archive

Mario Alberto Ratis, 04 marzo 2025 | © Riproduzione riservata

Cattelan e Stourdzé aprono le porte di Villa Medici al colore | Mario Alberto Ratis

Cattelan e Stourdzé aprono le porte di Villa Medici al colore | Mario Alberto Ratis