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Banksy, «The Migrant Child», 2019, Venezia, Palazzo San Pantalon prima dello strappo

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Banksy, «The Migrant Child», 2019, Venezia, Palazzo San Pantalon prima dello strappo

Chi può disporre della Street Art?

Lo strappo di «The Migrant Child» di Banksy induce ad alcune riflessioni di diritto privato

Filippo Maria Federici e Ilaria Gioffrè

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Il caso di «The Migrant Child», attribuito a Banksy e realizzato nel 2019 su una facciata di un palazzo storico a Venezia, ha riacceso il dibattito sull’intersezione tra diritto di proprietà del supporto e il diritto d’autore, specie quando l’opera è realizzata senza autorizzazione del proprietario. A fine luglio 2025 l’opera è stata effettivamente staccata: un’operazione sofisticata condotta da tecnici specializzati che si è completata con il trasferimento in sicurezza in un caveau. Sebbene volta a garantire la conservazione, la rimozione ha segnato il distacco fisico e concettuale dell’opera dal suo contesto originario. La Street Art, per sua natura effimera e collocata nello spazio pubblico, costringe a bilanciare interessi contrapposti: da un lato il diritto morale dell’autore all’integrità dell’opera, dall’altro le prerogative del proprietario dell’immobile, che può decidere di rimuovere, coprire o persino distruggere il manufatto. 

La legge sul diritto d’autore (legge 633/1941) tutela l’artista sin dal momento della creazione, ma la realizzazione non autorizzata su supporto altrui può configurare violazione della proprietà e limitare la protezione.

Una parte della dottrina richiama l’istituto dell’accessione (art. 936 c.c.), per cui il murale diventa parte integrante dell’immobile; altri invocano la commistione (art. 939 c.c.) o la dicatio ad patriam, cioè la destinazione dell’opera all’uso collettivo. In ogni caso, lo «strappo» introduce un elemento di trasformazione: l’opera, concepita site specific, perde parte del proprio significato originario una volta rimossa.

Il confronto non si limita all’Italia. Dal punto di vista comparatistico, la Germania adotta un approccio affine a quello italiano, riconoscendo in linea di massima la prevalenza del diritto di proprietà e considerando la Street Art non autorizzata come un danno al bene, pur preservando il diritto d’autore ove sussistano i requisiti di originalità. Di conseguenza, se il proprietario decide di staccare la porzione di muro e venderla, potrebbe scontrarsi con il diritto di «distribuzione» esclusivo dell’autore, salvo che l’artista abbia implicitamente accettato la futura alienazione. Altrettanto interessante è il sistema francese che, similmente a quello italiano e tedesco, riconosce la protezione del diritto d’autore per tutte le opere che riflettano la personalità dell’artista, indipendentemente dal supporto. La Street Art, quando sia originale, rientra così tra le creazioni tutelate dal Codice della Proprietà Intellettuale, fermo restando che una sua esecuzione abusiva può configurare reato di degradazione.

La vicenda veneziana riflette bene questa tensione: l’interesse collettivo a preservare un linguaggio artistico nato ai margini della legalità si scontra con le facoltà dominicali del proprietario, che può percepire nella rimozione una forma di tutela o un’opportunità economica. Non mancano poi i precedenti. 

In assenza di una disciplina ad hoc, la materia resta affidata a interpretazioni evolutive di istituti di diritto civile risalenti, concepiti per contesti molto diversi. Lo strappo di «The Migrant Child» mostra quanto sia urgente una riflessione sistematica sulle opere di Street Art: chi può davvero disporne? E come conciliare valore culturale, interesse pubblico e diritti individuali, a prescindere dalla notorietà dell’artista?

Filippo Maria Federici e Ilaria Gioffrè, 20 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

Chi può disporre della Street Art? | Filippo Maria Federici e Ilaria Gioffrè

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