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Il drone mostra i danni causati dalle gare «off road» agli antichi geoglifi di Alto Barranco, nel deserto cileno di Atacama

© Reuters/Ivan Alvarado

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Il drone mostra i danni causati dalle gare «off road» agli antichi geoglifi di Alto Barranco, nel deserto cileno di Atacama

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Chi salverà gli antichi geoglifi di Brasile e Cile?

Le grandi aziende agricole e zootecniche nel primo e le gare automobilistiche «off road» nel secondo continuano a minacciare le monumentali opere realizzate sul terreno. Intanto droni e Intelligenza Artificiale ne scoprono di nuove

Gabriella Angeleti

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I geoglifi della foresta pluviale brasiliana e dei deserti del Cile continuano a essere minacciati dall’attività umana. Le antiche opere, giganteschi disegni geometrici o antropomorfi realizzati sul terreno migliaia di anni fa con pietre e cumuli di terra, sono visibili principalmente dall’alto e in gran parte non sono state registrate fino ai recenti progressi della tecnologia di ripresa satellitare.

Negli ultimi anni in Brasile, agricoltori e allevatori su scala industriale hanno coltivato sopra i geoglifi esistenti in Amazzonia. La recente deforestazione ha reso per la prima volta visibili molti geoglifi, che sono poi stati distrutti o danneggiati poco dopo. Nel frattempo, le gare di automobili fuoristrada in Cile hanno «tagliato» e frazionato i geoglifi esistenti nel deserto di Atacama, vicino alla città di Iquique. La richiesta di protezione da parte dell’Unesco potrebbe ridurre parte dei danni in Brasile, ma il futuro dei geoglifi cileni è incerto.

Mentre in novembre il Brasile, a Belém, si prepara a ospitare la Conferenza sul cambiamento climatico del 2025 (Cop30), si prevede che i dibattiti sulla deforestazione in Amazzonia e sugli effetti dello sviluppo agricolo domineranno il vertice. Ma non si sa se i funzionari proporranno un piano per la conservazione dei siti archeologici minacciati dalla distruzione dell’ambiente, tra cui un vasto numero di antichi geoglifi ancora poco studiati e non registrati.

Dagli anni ’70, gli archeologi hanno documentato quasi 500 geoglifi in Amazzonia, anche se si stima che circa 16mila restino sconosciuti. I geoglifi si trovano in tutta l’Amazzonia e in tutto il mondo, ma in particolare nello Stato brasiliano di Acre, dove l’agricoltura costituisce quasi il 20% del settore economico e i siti archeologici raramente sono protetti.

I geoglifi di Acre si estendono su un’area di circa 13mila chilometri quadrati. Gli archeologi ritengono che in passato ve ne fossero molti di più, distrutti per ricavare spazio per le colture da reddito (la soia, in particolare, è in forte aumento negli ultimi anni). Ciò è avvenuto sia prima che dopo la promulgazione, nel 1961, di una legge federale che regola la protezione dei monumenti archeologici. Lo studio scientifico dei geoglifi è iniziato negli anni Duemila, con un aumento della loro documentazione aerea, e nell’ultimo decennio si è cercato di candidare i geoglifi di Acre come Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Tuttavia, da quando è stata presentata la candidatura nel 2015, neanche uno è stato inserito nell’elenco e da allora ne sono stati scoperti molti altri.

Antonia Barbosa, archeologa dell’Istituto Nazionale del Patrimonio Storico e Artistico del Brasile (Iphan), ha iniziato a condurre ricerche sui geoglifi di Acre una decina d’anni fa e con il suo team lavora all’aggiornamento della candidatura Unesco, che elencava solo circa 300 siti noti. Una nuova candidatura all’Unesco probabilmente sottolineerà l’importanza dei geoglifi nel riscrivere la storia degli uomini stanziati in quelle regioni, che in precedenza si pensava fossero cacciatori raccoglitori e gruppi seminomadi. «I geoglifi raccontano le storie dei nostri antenati, afferma Barbosa. La costruzione di siti di questa portata non poteva essere opera di una o due persone. La loro monumentalità e la loro sofisticata costruzione dimostrano che questa regione dell’Amazzonia, spesso indicata come il “mare amazzonico”, non era uno spazio vuoto, ma piuttosto abitato da persone che comprendevano la geometria e l’ingegneria e vivevano in società molto più complesse di quanto abbiamo finora immaginato». E aggiunge: «L’importanza di questi siti risiede nella loro monumentalità, nella loro struttura e nella perfezione delle loro forme geometriche: i loro quadrati, i cerchi e i quadrati all’interno di quadrati. L’intera disposizione spaziale è stata creata su grande scala».

Agricoltura e deforestazione

Le minacce più immediate ai geoglifi provengono dalle industrie agricole e zootecniche a cui sono legati forti processi di deforestazione. Una sentenza controversa del 2012 ha dato agli agricoltori maggior libertà di disboscare vegetazione nativa sulle loro terre, riducendo dall’80% al 50% l’area che per legge deve essere preservata su proprietà privata; ciò ha riguardato circa 15 milioni di ettari dell’Amazzonia. «La maggior parte dei geoglifi scoperti si trova all’interno di terreni disboscati, anche se la mancanza di ritrovamenti in aree boschive non significa che non ve ne siano», afferma Barbosa. Alcuni dei primi geoglifi sono stati identificati attraverso le immagini satellitari, ma i progressi tecnologici, come il rilevamento attraverso la luce e la «ranging scanning», permettono ai ricercatori di capire meglio che cosa potrebbe nascondersi nelle aree boschive. Nel vicino deserto peruviano, dove si trovano le famose Linee di Nazca, i droni e l’Intelligenza Artificiale hanno recentemente aiutato gli archeologi a scoprire più di 300 geoglifi prima sconosciuti.

Sanzioni e mitigazioni dei danni

Ci sono diversi tipi di sanzioni per la distruzione di siti archeologici in Brasile, ma raramente vengono applicate. Inoltre, le grandi aziende agricole e zootecniche sono disposte a pagare delle multe anche salate se ritengono di poter ottenere profitti a lungo termine. Secondo Barbosa, la gestione della tutela dei geoglifi «dipende dal tipo, dalla rilevanza e dall’importanza del sito. Uno dei primi passi è determinare se il sito può essere ripristinato. Se non è possibile, è necessario adottare misure di compensazione o di mitigazione del danno. Ogni caso è unico e richiede un’analisi specifica per valutare ciò che è stato distrutto e ciò che rimane intatto». 

Quando viene identificato un sito archeologico, il proprietario terriero può accettare un «aggiustamento dei termini di condotta» per determinare come compensare e ridurre il danno causato. Tuttavia, quando qualche proprietario terrierio rifiuta di adeguarsi, si avvia un lungo processo che coinvolge i procuratori federali. In assenza di un accordo con il proprietario terriero, viene avviata un’azione legale. Questo processo può durare anche un decennio. A quel punto, i geoglifi in questione potrebbero essere scomparsi da tempo.

Lotta contro il tempo per tutelare Alto Barranco

Anche in Cile i geoglifi sono minacciati dall’attività umana, benché di tipo diverso. Di recente, gli archeologi hanno cercato di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla lenta distruzione dei geoglifi dell’Alto Barranco, nel deserto di Atacama. Datati a oltre 3mila anni fa, sono minacciati fin dal XIX secolo, quando i cercatori d’oro iniziarono a scavare alcune strutture credendo che indicassero un tesoro nascosto da antiche popolazioni indigene. La deturpazione dei geoglifi si è accelerata con lo sviluppo delle infrastrutture per l’estrazione del rame negli anni ’90, quando anche le gare automobilistiche «off road» sono diventate popolari nella regione. In diverse occasioni, i siti isolati sono stati anche utilizzati dalle forze armate per testare le bombe.

L’antropologo e archeologo Gonzalo Pimentel ha dato vita alla Fondazione del Deserto di Atacama per garantire la sopravvivenza dei geoglifi, che descrive come «immagini monumentali dell’immaginario e della memoria collettiva che gli antichi carovanieri andini “disegnavano” sulle colline durante le loro traversate del deserto». Pimentel e la sua fondazione hanno ripetutamente denunciato eventi come il Rally Dakar del 2014, una gara «off road» con più di 400 veicoli che ha causato danni significativi. Queste gare continuano a svolgersi nella regione, sia legalmente che illegalmente, danneggiando ulteriormente le opere sul terreno.

A differenza di siti che sono stati ampiamente studiati (come le Linee di Nazca in Perù), i geoglifi dell’Alto Barranco non godono del riconoscimento da parte dell’Unesco e la loro tutela è scarsa. Pimentel aggiunge che un piano di conservazione «deve prevedere una seria collaborazione con le varie parti interessate a livello locale e uno Stato che si impegni a fornire le risorse necessarie. Questo sembra improbabile nel contesto attuale». Osserva inoltre che «ci sono migliaia di immagini sparse nel deserto, ma non esiste ancora un inventario completo del numero di geoglifi esistenti. È necessario iniziare con un piano politico nazionale volto al loro studio, alla loro protezione e alla loro valorizzazione. Si tratta di messaggi, per la maggior parte indecifrati, lasciati al futuro».

Gabriella Angeleti, 10 febbraio 2025 | © Riproduzione riservata

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