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Cindy Sherman Untitled #550 2010/2012 Chromogenic color print 153 x 302.3 cm / 60 1/4 x 119 in

Credits: CS Studio. Courtesy Hauser & Wirth.

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Cindy Sherman Untitled #550 2010/2012 Chromogenic color print 153 x 302.3 cm / 60 1/4 x 119 in

Credits: CS Studio. Courtesy Hauser & Wirth.

Cindy Sherman: la fotografia come strumento critico e concettuale

Un viaggio tra identità, ruoli e stereotipi: la mostra «Cindy Sherman. The Women» a Hauser & Wirth Menorca ripercorre 40 anni di visioni rivoluzionarie.

Cindy Sherman non cambia «solo» radicalmente la fotografia, la reinventa. E con essa, forse, perde una parte di sé, ma crea immagini che parlano di ruoli, stereotipi, riflessioni. Provoca. Rompe regole. È fotografa, ma anche modella; truccatrice ma anche costumista. È presenza, ma in scatti dove lei stessa svanisce, si dissolve. Conosciuta in tutto il mondo per il suo lavoro sull’identità e sul genere, Sherman interpreta davanti all’obiettivo persone osservate con attenzione, trasformando la sua persona nel soggetto-oggettto dell’opera. Dopo oltre vent’anni, è arrivata la sua prima mostra personale in Spagna, da Hauser & Wirth Menorca, intitolata «Cindy Sherman. The Women» con i lavori più noti dagli anni ’70 al 2010.

Nata nel 1954 a Glen Ridge, New Jersey, Sherman è un’icona della fotografia contemporanea. Da oltre quarant’anni esplora i concetti di rappresentazione e identità, trasformando se stessa e il mondo circostante in immagini che interrogano ruoli, stereotipi e percezioni. Nella mostra, visitabile fino al 26 ottobre 2025, questa indagine prende forma nelle «Untitled Film Stills» (1977–1980), una serie che ha trasformato il modo di guardare le donne nella fotografia: dall’osservazione di cliché radicati nell’immaginario culturale a ritratti senza tempo, queste fotografie hanno consacrato Sherman come protagonista della Pictures generation, gruppo di artisti emerso negli anni ’70 e ’80 in risposta all’epoca dei mass media e della cultura della celebrità. Ogni immagine cattura un archetipo femminile – dalla ragazza d’ufficio alla casalinga, passando per la giovane in fuga – ma lo fa con ambiguità, spingendo lo spettatore a leggere oltre il cliché. Sherman diventa al contempo fotografa e soggetto. I personaggi non guardano mai l’obiettivo, lo sguardo è rivolto altrove, fuori dall’inquadratura, amplificando il senso di distanza e mistero. 

Tutte le immagini sono senza titolo – scelta voluta dall’artista per mantenere l’ambiguità – mentre i numeri assegnati dalla galleria servono esclusivamente a scopi catalografici. Come ha osservato la storica dell’arte Rosalind Krauss, la serie è una collezione di «copie senza originali». Quelle 69 «copie» che vennero però acquistate nel 1995 dal Museum of Modern Art di New York e alle quali Sherman ne aggiunse un’altra subito dopo, portando così il totale a settanta. Un’aggiunta che non sancisce tuttavia la chiusura della serie, ma, al contrario, ne ribadisce l’instabilità e l'apertura. Nel saggio «The Making of Untitled», riflettendo sui suoi esordi Sherman riconosce: «I personaggi non erano idioti o semplici attrici svampite. Erano donne che lottavano con qualcosa, ma non sapevo cosa. Gli abiti le fanno apparire in un certo modo, ma poi guardi la loro espressione e ti chiedi se non sia ciò che gli abiti comunicano. Mi piace tutto quel miscuglio di ambiguità». Eva Respini definisce questa serie «uno dei più significativi corpus di opere del ventesimo secolo, ampiamente canonizzato da storici, curatori e critici» – come confermano anche alcune quotazioni da record ottenute, ad esempio, per 21 immagini vendute da Christie’s a 6,77 milioni di dollari, oppure per le tre stampe di «Untitled Film Still #48» vendute tra 1 e 3 milioni di dollari.

Cindy Sherman, «Untitled Film Still», 1978, stampa alla gelatina d’argento, 20.32 x 25.4 cm. © Cindy Sherman. Courtesy Hauser & Wirth.

Nella mostra la serie sarà confrontata con i ritratti realizzati nei cicli successivi, mostrando come Sherman abbia trasformato la fotografia in strumento critico e concettuale. Esempi calzanti sono le serie «Bus Riders» e «Murder Mystery». Nella prima, Sherman osserva la varietà di persone alle fermate degli autobus. In quindici fotografie, interpreta ogni passeggero, trasformandosi completamente in comparsa, fotografa e narratrice allo stesso tempo. Nessun aiuto, nessuna modella: ogni personaggio prende vita attraverso il trucco, i costumi e le parrucche trovati nei mercatini, mentre il corpo e lo sguardo della fotografa diventano strumenti di rappresentazione. Le immagini non cercano realismo, ma mostrano come genere, identità e status sociale influenzino il comportamento e la percezione del Sé. In «Murder Mystery», invece, costruisce una storia poliziesca con tredici personaggi, tutti interpretati da lei. Con momenti di suspense e angolazioni multiple che ricordano il cinema classico, la serie gioca con gli stereotipi cinematografici degli anni ’30 e con il dispositivo fotografico, visibile in ogni scatto, a ricordare che il processo creativo è parte integrante dell’opera. E anche qui l’artista ribadisce il suo anonimato: «Quando guardo le foto, non mi vedo mai. A volte sparisco». Perché in entrambe le serie, la performance supera la fotografia: il soggetto, il corpo e l’identità si fondono, mettendo in luce la costruzione sociale dei ruoli femminili.

Da queste esperienze nasce il titolo della mostra, «Cindy Sherman. The Women», che riprende l’omonima pièce del 1936 di Clare Boothe Luce sulle relazioni tra donne di classi diverse – consolidata da due adattamenti cinematografici (1939 e 2008) come classico dei «women’s film» di Hollywood. Sherman prende personaggi e dinamiche della pièce e li trasforma in lente per esplorare ruoli, stereotipi e identità femminili. Dal XX al XXI secolo, con la crescita della fama e dei social media, le riflessioni dell'artista su genere, ricchezza e privilegio risultano ancora più attuali. Ogni ritratto diventa un personaggio nuovo; ogni immagine mostra come si costruisce e si interpreta l’identità. Cinema, moda, riviste e fotografia classica si intrecciano al soggetto stesso, diventando parte integrante dell’immagine.

Cindy Sherman, «Untitled #369», 1976/2000, stampa alla gelatina d’argento, 25.4 x 20.3 cm/32.4 x 25.4 x 2.5 cm (Framed). Credits: CS Studio. Courtesy Hauser & Wirth

Nella serie «Ominous Landscape» (2010-2011), ad esempio, Sherman mette in scena figure femminili alterate digitalmente, vestite con abiti d’alta moda – dai pezzi anni ’20 di Coco ai modelli contemporanei di Karl Lagerfeld – in paesaggi ampi e inquietanti: Capri, Stromboli, Islanda, Shelter Island. Il contrasto tra costumi sfarzosi e ambienti desolati rende ogni figura «ingombrante», fuori scala, dominante rispetto al mondo naturale. Sherman qui rovescia l’idea classica di paesaggio. Non cerca armonia o sublimazione della natura: le figure si scontrano con ambienti cupi e minacciosi. La manipolazione digitale trasforma il paesaggio in specchio dell’inquietudine moderna. Non c’è idealizzazione, ma tensione, disagio, alienazione. La fotografia diventa così uno strumento per mostrare non la realtà, ma la percezione profonda e psicologica del mondo.

Questa attenzione alla costruzione dell’identità e alla performance dei ruoli femminili continua nella serie «Flappers» (2016-2018), in cui Sherman riprende le giovani donne degli anni ’20, audaci nel rompere le norme sociali e nel reinventare la moda come strumento di emancipazione. Alcune figure richiamano le star di Hollywood, in abiti glamour e trucco marcato. Ma Sherman non celebra la giovinezza: le protagoniste sono ritratte decenni dopo il loro massimo splendore, apparentemente ignare del tempo che passa. Il richiamo a Norma Desmond, diva illusa del cinema muto in «Sunset Boulevard», è chiaro. Come Desmond, le Flappers incarnano il legame tra femminilità, fama e decadenza. Ma Sherman rovescia il cliché hollywoodiano: mentre Desmond è intrappolata nella nostalgia, le sue figure mostrano sfumature psicologiche, trasformando l’invecchiamento in riflessione sulla costruzione e performance dell’identità femminile. Glamour, memoria e tempo coesistono in un ritratto diretto e contemporaneo della femminilità.

Il tema delle donne dell’alta società e dell’invecchiamento continua nei «Society Portraits» del 2008. Donne anziane, in contesti opulenti, vestite con abiti costosi, truccate e talvolta alterate dalla chirurgia estetica. Stampate in grande formato e racchiuse in cornici dorate, le immagini mostrano la formalità classica e l’artificio contemporaneo, mettendo a fuoco la distanza tra ricchezza, status e quel desiderio di giovinezza eterna che le aveva accompagnate per tutta la vita. «Cindy Sherman. The Women» raccoglie decenni di lavoro sull’identità e sui ruoli femminili: dall’osservazione dei cliché culturali alle trasformazioni della femminilità nel tempo, ogni immagine mostra costruzione e performance; ruoli e percezioni sociali. Con Sherman, la fotografia diventa specchio di una società che si osserva, si smonta e si riplasma, in nome di un’identità che – come la fotografa stessa – non smette mai di interrogarsi.

Installation views «Cindy Sherman. The Women». Courtesy Hauser & Wirth

Nicoletta Biglietti, 26 agosto 2025 | © Riproduzione riservata

Cindy Sherman: la fotografia come strumento critico e concettuale | Nicoletta Biglietti

Cindy Sherman: la fotografia come strumento critico e concettuale | Nicoletta Biglietti