Giovanissimo (è alla sua seconda edizione), il festival fotografico biennale MonFest, diretto da Mariateresa Cerretelli e promosso dal Comune di Casale Monferrato (Al), si è già guadagnato un posto di rilievo nel panorama dei molti festival fotografici grazie a una formula originale, che lo differenzia dai suoi simili e che punta anche sul forte radicamento in un territorio ricco di tesori storici quale è il Monferrato, con la sua bella capitale. Il tutto, inquadrato all’interno di un tema (nella prima edizione l’architettura e il paesaggio), che in questa seconda edizione (in corso fino al 4 maggio in più luoghi identitari della città) guarda al cinema, alla musica, al teatro. Titolo: «On Stage». Ne parliamo con la sua ideatrice e direttrice scientifica.
Mariateresa Cerretelli, perché un nuovo Festival di fotografia e perché a Casale Monferrato?
L’idea è partita dal Comune, che cercava un esperto per portare a Casale la cultura della fotografia e, quando si sono rivolti a me, ho suggerito loro la formula del festival, una realtà che qui non esisteva. La città offre del resto luoghi magnifici, dal Castello, risalente al ’300, alla Sinagoga seicentesca, all’Accademia Filarmonica, in una dimora nobiliare del ’700, e molto altro. Per dare a MonFest un’identità propria, ho pensato al confronto con le altre arti, sviluppando ogni volta il discorso attraverso temi specifici. Con quello di quest’anno c’era un mondo intero da scoprire, così, sul filo della memoria, abbiamo Mimmo Cattarinich, uno dei grandi fotografi di scena del ’900, con l’omaggio a Mastroianni nel suo centenario, a Pier Paolo Pasolini nel cinquantenario della morte, e a Pedro Almodovar, e abbiamo Maria Vittoria Backhaus, 82 anni, grande fotografa tuttora in piena attività (che nel nostro Middle MonFest 2023, ha avuto qui la sua prima antologica in assoluto, in cui si è manifestata la sua grandezza): ora esponiamo le fotografie che scattò 60 anni fa ai Beatles, nel concerto al Velodromo Vigorelli di Milano. Ma c’è anche il fotoreportage di Fiorella Baldisserri «Cinéma du Desert» (la vicenda di una famiglia che, con una roulotte attrezzata per lunghi viaggi, proietta in Europa e in Africa film sotto le stelle): con il suo lavoro chiuderemo il Festival, il 3 maggio sera alla Cittadella, dove avremo laboratori sotto tende berbere e si proietterà il film di Wim Wenders su Sebastião Salgado «Il sale della terra».
Memoria ma anche contemporaneità, diceva.
Ci sono infatti anche progetti attualissimi, come «S.P.B. (Sensitive Portrait Box)» di Alessandro Ando Magagna, che prevede che le persone entrino in una cabina fotografica in cui sono ritratte, in primo piano, prima e durante l’ascolto di brano di musica diffuso all’interno: incredibile il cambiamento dello sguardo. O quello di Henry Ruggeri su eventi musicali memorabili degli ultimi decenni, da lui fotografati e qui arricchiti (grazie a un’app) dal commento in realtà aumentata del giornalista e dj radiofonico di Virgin Radio Massimo Cotto, da poco scomparso: la presenza della tecnologia appassiona le nuove generazioni e noi vogliamo parlare a tutti, dallo studente allo studioso.
Come ha reagito il territorio al MonFest?
Molto bene: c’è un grande interesse. Ma si va ben al di là del territorio, perché arriva un pubblico numeroso anche da Milano e da Torino, specie in occasione delle letture portfolio, per le quali invitiamo fotografi internazionali. Ad aprile arriverà João Kulcsár, direttore di ben tre festival in Brasile, che è anche uno dei curatori, con Elena Givone e Ilenio Celoria, della mostra di confronto tra le immagini di due fotografi dell’ultimo ’800, il brasiliano Marc Ferrez e Francesco Negri (casalese, inventore tra l’altro del teleobiettivo), di cui il 5 aprile proietteremo per la prima volta i film: un inedito assoluto di un pioniere del cinema. E prima ancora, il 22 febbraio, sarà la volta di Sakis Lalas, famoso fotografo che vive tra l’Italia e Hollywood: ancora il cinema, dunque.
Che cosa prevedete per la prossima edizione?
È troppo presto per parlarne: posso dirle che l’anno prossimo abbiamo in cantiere un altro Middlefest, con un autore di grande spessore. E poi, poiché una caratteristica di MonFest è il suo essere costantemente in fieri, anticipo al «Giornale dell’Arte» che l’8 marzo inaugureremo un’altra primizia assoluta: a Casa Caire, accanto al Castello, ricreiamo l’atelier dell’avvocato e fotografo del primo ’900 Silvio Montalenti, i cui pronipoti hanno ritrovato in soffitta alcuni bauli di lastre fotografiche di grande modernità: ritratti di famiglia sì, ma originalissimi, concepiti come fossero dei defilé di moda.