Il primo fu Fortunato Depero, vero profeta della comunicazione pubblicitaria in Italia. Non perché prima di lui non ci fossero stati importanti e geniali cartellonisti, come Leopoldo Metlicovitz o Marcello Dudovich, ma perché fu lui il primo a uscire dai confini dell’affiche per dar vita a quella che oggi si definisce «immagine integrata» di un’azienda. E lo poté fare perché, alla metà degli anni Venti del ’900, incontrò degli imprenditori visionari, primo fra tutti Davide Campari (1867-1936), figlio dell’inventore di quel bitter (sublime) che resta una delle eccellenze più pregiate del made in Italy. Se fu il padre Gaspare a inventare quel nettare, fu Davide a capire quanto contasse la comunicazione e a stringere con il futurista Depero un sodalizio fortunato.
Per Campari Depero creò manifesti multicolori e incisivi bozzetti in bianco e nero per i quotidiani, ma anche innovativi arredi pubblicitari: lampade, vassoi, pupazzetti di legno intenti a bere con una lunga cannuccia, e altro ancora. Fino al 1939, quando il rapporto si interruppe con una cortese ma ferma lettera di diniego da parte dell’azienda riguardo a due suoi bozzetti che evidentemente furono considerati sorpassati. Altri protodesigner e designer si erano intanto aggiunti o sarebbero sopraggiunti nel tempo, molti dei quali si erano formati nel Futurismo: Marcello Nizzoli, Erberto Carboni, George Guillermaz, Sergio Tofano (Sto), Primo Sinopico, Giorgio Dabovich, Nikolay Diulgheroff.
E soprattutto Bruno Munari, la cui «Declinazione Grafica del nome Campari», che nel 1964 inaugurava la «Linea rossa» (la M1) della metropolitana milanese, è il cuore del progetto espositivo «Bold! Declinazioni tipografiche Campari: Munari, Depero e oltre», a cura di Marta Sironi e presentato dal 14 novembre al 30 giugno 2025 nella Galleria Campari (viale Antonio Gramsci 161, a Sesto San Giovanni, Milano, negli Head Quartier della multinazionale ridisegnati nel 2007-09 da Mario Botta). La mostra esplora, in un’innovativa lettura mirata sulla parola e sul suo rapporto con l’immagine, il vasto repertorio di lettering disegnati e di opere tipografiche degli artisti citati sopra, conservate nell’Archivio Galleria Campari, che raccoglie oltre 4mila opere su carta.
Strepitosa l’invenzione di Munari per il metrò, che mima la visione mobile e accelerata dai vagoni del treno e spezzetta così i diversi loghi della Campari, accostando i lettering che si erano susseguiti nel tempo e rileggendoli alla luce della sue riflessioni sui processi visivi. Se Munari si era formato in seno al Futurismo, le altre due figure dominanti di questo percorso hanno attinto anch’esse, o attingono, alla lezione di quell’avanguardia: parliamo di Pino Tovaglia, ideatore del «Codice Tondo» le cui lettere, sovrastampate, creano una profondità di campo e una lettura tridimensionale, e di Lucia Pescador che, attraverso il suo «Inventario del Novecento con la mano sinistra», ripercorre l’eredità culturale del secolo passato.