Walter Guadagnini
Leggi i suoi articoliLa prima metà del 2023 ha avuto un vincitore netto nel campo della fotografia e dintorni, vale a dire l’Intelligenza Artificiale: papi coi piumini, ex presidenti americani arrestati e tutti improvvisamente si accorgono che con le immagini si può mentire, e che bisogna fare attenzione a quello che si guarda. Accipicchia, vien da dire, e pensare che il signor Bayard senza nessun trucco lo aveva già detto nel 1840 e che milioni di bravi ritoccatori hanno riscritto per anni la storia dello spettacolo e delle nostre vite meno glamour, hanno aiutato dittatori e impostori vari a raccontare il mondo come doveva essere, mentre altri manipolatori (più innocui) hanno deliziato occhi e menti del pubblico di appassionati tra doppie esposizioni, messe in scena e travestimenti (a tale proposito, tra quelli che nell’anno ci hanno lasciato si ricorda qui Erwin Olaf, grande artista scomparso troppo presto, che proprio attraverso questa fotografia costruita aveva parlato, in tempi non sospetti, di tolleranze, diritti, generi, con lucida visionarietà. E tra le scomparse, sia concesso di citare anche l’indimenticabile Larry Fink).
Bene, terminato lo stupore per i prodigi della tecnica, ci si limita a far notare due cose, forse utili per la discussione: quella cosa chiamata fotografia ha sempre vissuto i traumi del progresso tecnologico, è sostanzialmente connaturata a esso, la sua lingua dipende anche da quello, e quindi letta da questo punto di vista la questione sarebbe quasi irrilevante (qualcuno ricorda le battaglie furiose contro il digitale e Photoshop quando fecero il loro ingresso sulla scena?). Ma la questione irrilevante non è, se si allarga il campo al di fuori della sfera specificamente fotografica e in fondo anche di quella della comunicazione: siccome per le menti comuni nate nel secolo scorso siamo non ai confini ma ben dentro la fantascienza, forse l’unica cosa da fare è riflettere sul carattere di questa contingenza storica e tentare di capirci qualcosa studiando, più che parlando. Anche perché, a proposito di parole e di contingenze storiche, la seconda metà degli ultimi dodici mesi è stata segnata dalle tragiche vicende dell’attacco terroristico del 7 ottobre in Israele e della conseguente invasione dei territori palestinesi da parte dell’esercito israeliano.
Anche in campo fotografico, un altro passo avanti è stato compiuto in questa occasione: non più le annose discussioni su che cosa può fare la fotografia in queste occasioni, non più la drammatica conta dei reporter, con e senza macchina fotografica, morti sul campo (ci sono ancora, se ne parla poco, ma ci sono, e anche i feriti), non più i limiti sul che cosa mostrare e che cosa no, siamo finalmente passati alla censura diretta, senza passare dal via. La vicenda per chi si occupa di vicende di questo settore è nota: Shahidul Alam, fotografo del Bangladesh, già arrestato nel suo Paese per la sua attività giornalistica, considerato per questo dai media occidentali una specie di simbolo della libertà di stampa, è stato rimosso dal suo incarico di curatore della Triennale della fotografia di Mannheim in Germania (una delle più importanti manifestazioni fotografiche d’Europa) per aver dichiarato pubblicamente la propria posizione sul massacro in corso a Gaza (ci si augura che «massacro» di fronte a 30mila morti in pochi mesi, la grandissima parte dei quali civili, sia termine ancora utilizzabile; il «Massacro di Scio» di Delacroix si riferisce a un episodio in cui i morti furono 20mila, per dire). Rimosso lui, cancellata la Triennale, bingo. Cioè, la democraticissima Germania censura un curatore per difendere l’immagine di un democraticissimo Stato autore delle azioni che sono sotto gli occhi del mondo. È la democrazia, bellezza. O no? Da vecchi illuministi (non più di moda neanche quelli, l’altra faccia della medaglia di questo cortocircuito delirante è la cancel culture, per cui figurarsi se dei nobili francesi del Settecento possono andare bene), ricordiamo la frase attribuita a Voltaire, secondo cui, a memoria, «io non sono d’accordo con nulla di quello che dici, ma farò di tutto affinché tu possa sempre dirlo», che parrebbe la base di ogni democrazia, almeno quando si tratta di comunicazione, altrimenti dove stanno le differenze con i totalitarismi?
Quindi, più che dell’Intelligenza Artificiale, la fotografia deve ancora occuparsi dei comportamenti umani, e la buona notizia, che rimarca anche le differenze che ancora esistono, per fortuna, tra sistemi diversi, è che Shahidul Alam l’11 maggio terrà una conferenza a Torino in occasione di Exposed, neonato festival fotografico della città. Torniamo, dunque, alle più modeste vicende di casa nostra, evidenziando come ancora una volta in Italia si preferiscano i festival alla creazione di realtà museali o almeno espositive stabili, e come questa scelta di politica culturale sia stata ormai introiettata dal sistema, per cui le poche istituzioni (o realtà imprenditoriali private) che si dedicano stabilmente alla fotografia propongono mostre classiche, ancora in grado di richiamare pubblico e talvolta anche di fornire nuove chiavi di lettura al già noto (in questo ambito, si segnala la meritoria collaborazione tra Fondazione Alinari e MuFoCo nella realizzazione della mostra «L’Italia è un desiderio» alle Scuderie del Quirinale, platea importante per due realtà sempre attive anche in situazioni non facili), mentre la ricerca, la proposta delle novità è per l’appunto affidata ai festival (i quali, per loro natura, sono meno direttamente dipendenti dalla notorietà dei nomi proposti e più dalla capacità di assumere un’identità di evento dove bisogna esserci). All’interno del festival torinese si è tenuta anche la fiera fotografica The Phair: assieme alla rinnovata struttura del Mia milanese e alla continuità della sezione fotografica di Arte Fiera a Bologna, la conferma che un mercato fotografico, seppur sempre di nicchia, esiste e resiste anche in Italia, come nel resto del mondo, dove il 2023 e l’inizio del 2024 sono stati senza infamia e senza lode, un pareggio fuori casa che non esalta, ma muove la classifica.
Altri articoli dell'autore
Nel suo libro l’artista romano offre una lettura fotografica dell’opera dello scultore sardo
Dopo un 2021 ancora di transizione, l’unico dato di vero e indiscutibile rilievo è la valanga di esposizioni dedicate alle donne fotografe, cui ora si aggiungono i quesiti riguardanti i reportage di guerra
Due volumi analizzano da diversi punti di vista il rapporto tra fotografia e letteratura
Le derive della cancel culture negano l’ambiguità fondante delle immagini fotografiche