Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoliIn inglese daydreaming, il sogno a occhi aperti è un’attività di pensiero spontaneo e non deliberato, che sta acquisendo una sempre maggiore rivalutazione e una crescente attenzione da parte di neuroscienziati, filosofi e artisti. Ritenuto per secoli una distrazione irrilevante, il daydreaming coincide in realtà con la capacità sorgiva della mente di andare al di là dell’esistente, per proiettarsi in avanti rilanciando la nostra esperinza di vita senza alcun controllo da parte della ragione. Come confermano le ultime ricerche è un pensiero fortemente visivo e creativo, prossimo a quello artistico, capace di anticipare quanto ancora non c’è e di riplasmare il mondo esistente. La parola ad Anton Janizewski della Galleria Anton Janizewski di Berlino
Artissima invita quest’anno ad ascoltare i propri sogni ad occhi aperti, chiamando a raccolta una comunità di daydreamers, quella degli artisti e di chi accompagnano il loro lavoro, per intraprendere un viaggio emozionante alla scoperta del potenziale illimitato della mente umana. Quanto contano nel suo lavoro il daydreaming e la condivisione di sogni con artisti e curatori?
Credo che aprire una galleria abbia a che fare con il sogno. Se sei troppo pragmatico, o se hai bisogno di sicurezza, non ti viene nemmeno l’idea. Devi pensare un po’ al di fuori degli schemi. Sono sempre irresistibilmente attratto da artisti che mostrano qualcosa che non è stato ancora visto e che contengono una certa dimensione di imprevedibilità, dei quali non comprendo del tutto le opere e che proprio per questo motivo trovo affascinanti. Tutti gli artisti che rappresento hanno questo elemento nel loro lavoro.
Prima che fosse realtà, lavorare nel mondo dell’arte è mai stato il suo sogno a occhi aperti?
Sono sempre interessato a quegli artisti che si trovano in un’area liminale tra discipline e generi: quando creano contraddizioni piuttosto che risolverle; quando si creano tensioni, come nei sogni lucidi, in cui processi e azioni semi-controllati prendono il comando e ci sentiamo costretti a seguirli a occhi chiusi; quando si instaurano connessioni inusuali e si esplorano le loro conseguenze fino in fondo. L’idea di creare uno spazio in cui questi incontri di soglia possano prosperare è stata essa stessa un sogno lucido. Mi emozionava l’idea di offrire agli artisti un terreno di gioco dove poter usare un medium in un modo che non avevo mai sperimentato prima, sia formalmente che in termini di generi. È naturale quindi che abbia finito per lavorare con artisti che hanno approcci interdisciplinari, ma anche con artisti che hanno un linguaggio visivo difficile da categorizzare o a volte addirittura polarizzante o provocatorio. Non è una coincidenza: è il momento dell’incertezza che continuo a cercare. Sono attratto da ciò che non è classificabile e voglio facilitare queste esperienze ancora e ancora.
Ricorda un’opera d’arte che negli anni la ha particolarmente ispirata a sognare a occhi aperti?
Nelle opere di Ferdinand Dölberg, che presenteremo ad Artissima, trovo quasi sempre una certa dimensione onirica che mi affascina. Non in modo sentimentale o fantastico, ma piuttosto nel modo in cui vengono create connessioni sorprendenti, con un tocco irrealistico, irreale o addirittura surreale. Una delle serie di Dölberg, composta da dipinti puzzle scorrevoli, permette di spostare vari elementi dipinti a proprio piacimento. Non esiste una disposizione giusta o sbagliata dei pezzi. Ogni volta viene prodotta un’immagine diversa. L’opera sottolinea come molte realtà possibili siano sempre già presenti, anche se rimangono invisibili nella vita quotidiana. È una questione di spostare letteralmente il punto di vista. Questo mi ricorda anche il gesto, leggermente assurdo, ma visionario, di aprire una galleria. Devi solo osare sognare e vedere le possibilità che sono già lì. Il lavoro del sogno, dice Freud, consiste nel riorganizzare e rimescolare la realtà. Come gallerista, devi diventare un sognatore professionista e trovare una nicchia nel continuo processo di ricombinazione, un’apertura in cui costruire un luogo collettivo che ancora non esiste.
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